Recensione di Antonino Sarica
«Canti d’uccelli, anche questi: di pettirossi, di capinere, di cardellini, d’assiuoli, di fringuelli, di passeri, di verlette, di saltimpali, di rondini e rondini e rondini che tornano e che vanno e che restano…». Così scriveva Pascoli nel marzo del 1903 presentando ai lettori i suoi Canti di Castelvecchio. Canti d’uccelli! E il verde delle selve, il biondo del grano, lo stormir delle piante… «Poesie nate quasi tutte in campagna». Ed ecco da quelle vaghe rime ispirato, Il mondo biologico nei Canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli, singolare libretto di Antonino Ioli recentemente edito dall’Associazione culturale «Parentisi», quarto titolo della «Collana di narrativa, saggistica e poesia» curata da Filippo Briguglio. Professore emerito di parassitologia dell’Università di Messina, scrittore prolifico, Antonino Ioli ha sempre coltivato le arti, le scienze. Nel volumetto egli pone in rilievo l’interesse vivo di Pascoli per la zoologia e la botanica, delle quali il poeta, a quanto pare, aveva buona cognizione. Lo stesso ha fatto Ioli, nel 2001, con i versi di Myricae, altra celebre silloge pascoliana. In Myricae, il vasto mondo della biologia è ampiamente rappresentato, vi figurano i più vari componenti del mondo vegetale e animale, non esclusi gli artropodi; e tutti si rivelano utili per «esprimere sensazioni». Nei Canti di Castelvecchio, invece, la presenza di animali e vegetali è meno eterogenea; decisamente – conferma Ioli – gli uccelli vi prevalgono, sono i «silenziosi destinatari delle liriche». Pascoli, sembra chiaro, giudicava gli uccelli veicoli efficaci dei propri diversi stati d’animo. Per di più, Ioli guarda agli animali e ai vegetali menzionati con l’occhio esperto del biologo; e ne discute in breve con rigore scientifico. Un accostamento stimolante, che sarebbe il caso di studiare meglio: Pascoli e Orazio, l’uno e l’altro «alla ricerca di nuovi schemi metrici e di nuove forme petiche»; entrambi votati al mondo contadino, semplice e forse più umano, privo di ricercatezze e di aspetti fatui e inutili». Come Pascoli avrebbe voluto «Orazio visse tra piaceri campestri e studi letterari e filosofici». L’aurea mediocritas, il parvo vivere della filosofia oraziana, «ritornano interamente in Pascoli». Tale in «L’ora di Barga», soggiunge Ioli: «Al mio cantuccio, donde non sento/ se non le reste brusir del grano/, il suon dell’ore viene col vento/ dal non veduto borgo montano…».
All’autore piace ricordare che diverse poesie poi raccolte nei Canti di Castelvecchio, Pascoli le compose a Messina, dove insegnò letteratura latina nella facoltà universitaria di Filosofia e Lettere, tra il 1897 e il 1903. Antonino Ioli non dimentica di essere medico, e si sofferma alquanto sulla poesia «La mia malattia», nella quale, peraltro, non appaiono piante, né animali. In quei versi, Pascoli evoca la grave infermità, una febbre tifoidea, contratta proprio a Messina nel 1898. Fu allora curato, rammenta Ioli, dal professor Umberto Gabbi, ordinario di patologia medica nell’Ateneo peloritano, e dal suo assistente messinese dottor Orioles. Il poeta si salvò, fatto raro a quei tempi, grazie a una terapia piuttosto complessa «condotta per via antitermica e antipiretica» (chinino, salicilato…), per via antisettica (purganti, calomelano…), per via tonica e diuretica; ma soprattutto perché così Dio volle.
Antonio Sarica – Gazzetta del sud
Data avvenimento: 1 ore 00:00 -Luogo: Aula Magna Università di Messina La S.V. è gentilmente invitata alla presentazione del libro
martedì 23 novembre 2010 ore 17,00 presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Messina Piazza Salvatore Pugliatti 1, Messina
RELATORE
Prof. Carmelo Scavuzzo
Ordinario di Storia della lingua italiana Università di Messina