Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretto da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

“Parentesi” I nostri reportage – Comune di Casalvecchio Siculo Provincia Regionale di Messina

 

PALACHORION: UNA FINESTRA SULLA VALLE D’AGRO’

Casalvecchio Siculo, che già nel nome racchiude una storia antica di molti secoli, è un graziosissimo centro collinare che, per la posizione immersa nel verde ed il bellissimo panorama, con spunti di arte e tradizione notevoli, ha in sé la potenzialità per diventare, con accorta e sapiente programmazione, un gradevole centro di attrazione turistica.

 

Il belvedere proteso verso il mare, quasi sospeso a mezz’aria, introduce gradualmente al paese: da quassù l’occhio spazia e naufraga dolcemente in un susseguirsi di vedute. Alle spalle del visitatore sullo sfondo troneggia il vulcano dell’Etna, mentre partendo da destra, lungo il torrente Agrò che dà il nome all’omonima valle, si rincorrono tra agrumeti, vigneti e colline, Forza d’Agrò, più lontana e Savoca, di fronte, mollemente adagiata nell’incavo di due caratteristiche colline; davanti l’immensità del mare Jonio in cui lo sguardo si tuffa per risalire sulla sinistra, dopo avere lambito il litorale e S. Teresa di riva, attraversando ancora agrumeti, vigneti, castagneti e colline che arrivano sino ad Antillo e vanno oltre in un susseguirsi infinito di vegetazione mediterranea. E’ adesso che lo sguardo, appagato, si volge al paese di Casalvecchio. Il centro abitato, tipicamente montano, non è molto esteso: le case scivolano verso il fianco del Monte Elia che sovrasta l’intera vallata d’Agrò.
Sono abitazioni non grandi, antiche, edificate su un terreno morfologicamente franoso, costruite prevalentemente in pietra arenaria, tranne quelle più recenti, con una muratura portante che ha bene resistito all’usura del tempo e del terreno perché impiantate in un sito più sicuro, piccole strade che si diramano da un asse principale viario sito in pianura, cortiletti e scorci che raccontano una storia vecchia di secoli che ha conosciuto tempi migliori.
Le stesse opere d’arte che vi si trovano, del resto, testimoniano di “un’epoca di benessere cittadino dovuto specialmente alla ricchezza che ogni anno entrava in paese, prodotta dal diffuso allevamento dei bachi da seta”.
Ma anche Casalvecchio, come tutti i centri collinari del nostro hinterland, infatti, vive il fatale, e tristissimo, fenomeno dell’emigrazione da una realtà che, non creando spazi di sopravvivenza ai suoi abitanti, non può sopravvivere essa stessa proprio per mancanza di risorse e mano d’opera.
Una popolazione corrente di circa 1.600 abitanti, ( ma che naturalmente aumenta nel periodo estivo per il ritorno degli emigrati), la scuola elementare e la scuola media, un ampio territorio circostante che si articola in quattro frazioni: Rimiti, S. Carlo, Misitano e Mitta più o meno distanziate dal centro abitato, da un lato; dall’altro una amministrazione comunale prima liberale e poi democristiana rimossa dal 23 febbraio 1994 in virtù del commissariamento regionale disposto per mancata approvazione del Piano Regolatore, un artigianato ridotto al lumicino con solo due fabbri e due falegnami ed un’assoluta mancanza di infrastrutture turistiche laddove si consideri che, eccettuata qualche dolceria del centro e delle e i negozi di generi alimentari, mancano persino una trattoria e un posto di ristoro, sono le due facce della medaglia di un paese che, difficoltà a parte, custodisce piccoli tesori artistici ed esprime delle potenzialità ambientali che andrebbero sfruttate.
E’ di questa opinione anche il dott. La Rosa, commissario straordinario regionale insediatosi appunto in febbraio, ed ormai quasi alla scadenza del suo mandato che, per legge, si compirà con l’ormai prossima tornata elettorale del 12 giugno utile per l’elezione del consiglio comunale.
“Quando sono arrivato mi sono trovato di fronte ad una infinità di problemi di vita cittadina fermi ed irrisolti nel tempo.
A cominciare dalla assoluta mancanza di una tesoreria comunale, affidata ad un privato che si era nel frattempo autodenunciato per ventilati ammanchi, situazione che rendeva oltremodo difficoltosa la realizzazione di qualsiasi iniziativa per carenza di fondi.
Nel corso di questo mio breve mandato che, ritengo, dovrebbe concludersi verso la metà di luglio (considerati i tempi di elezione, eventuale ballottaggio ed insediamento), ho lavorato molto sodo: credo di avere cercato di risolvere problemi fondamentali ed ho proceduto a cominciare un graduale riassetto della cosa pubblica.
Mi sono avvalso della collaborazione di personale comunale professionalmente molto valido, ma inadeguato numericamente che deve essere potenziato, ed ho affrontato eterogenei problemi di pubblico servizio: il mattatoio, la viabilità, essendo il collegamento viario assolutamente deficitario per coprire le esigenze di un comune, quale è Casalvecchio, molto esteso con frazioni collegate al centro abitato da strade che sono più o meno delle trazzere del tempo dei borboni che impediscono l’accesso di mezzi pubblici quali i pullman dovendosi quindi ricorrere all’uso dei piccoli mezzi per il trasporto degli abitanti, con grande dispendio di risorse. Per non parlare della vivibilità di queste frazioni eccessivamente ed intollerabilmente arretrate nel tempo per la quale, tra l’altro, ho provveduto ad attivare anche il ripetitore televisivo per una di esse.
E’ stato disposto un piano triennale di opere pubbliche, ma tanto e tanto ci sarebbe ancora da fare e l’eredità che lascio all’amministrazione che si insedierà è consistente.
Il paese è graziosissimo e ci si deve concretamente attivare su due fronti: potenziare il turismo, trasformandolo in un centro di attrazione turistica che porterebbe economia ma dal quale siamo ancora lontani se si considerano i disagi cui il visitatore va incontro per la mancanza di qualsiasi infrastruttura di sostegno, ed aiutare l’agricoltura. In questo senso sto molto incoraggiando una cooperativa di giovani che vuole realizzare un centro agri-turistico, e ci sta riuscendo, avendo già creato una macelleria a scopo turistico in aperta campagna (dove peraltro si trova dell’ottima salsiccia n.d.r.)”.
Per aumentare la gradevolezza e la fruibilità del paese è stata modificata anche la piazza antistante il Municipio: l’Ing. Santi Cimellaro, catanese, cui è stato affidato il progetto insieme all’Ing. Cristaldi, ha ampliato lo spazio un po’ deficitario davanti alla casa comunale e ha provveduto a dare continuità tra la parte alta e quella bassa del paese con una sistemazione a gradoni con rivestimenti in pietra, in modo da evitare l’aspetto un po’ squallido tipico del cemento, e facendo impiantare molto verde che, quando crescerà, creerà un impatto ambientale visivo di sicuro effetto positivo. E – secondo il progettista – si potrebbe ulteriormente migliorare la funzionalità del centro adottando “ una analoga sistemazione che si dovrebbe estendere sino alla caserma dei carabinieri e provvedendo a creare parcheggi, che tuttora mancano, all’ingresso dell’abitato in modo da rendere il paese più fruibile e più a dimensione d’uomo”.
Origini e storia

Definito “un piccolo centro della civiltà passata” il paese è antico. La sua roigine insediativa risalirebbe ad epoca precedente l’età bizantina; e l’antica denominazione greco-bizantina “Palachorìon”, cioè antico casale, mantenendo nel tempo inalterato il significato, fu traslata in “Calatabiet” a testimonianza dell’influenza islamica di un insediamento arabo nel paese, per poi trasformarsi in “Rus vetus”, fino a “Casale vetus”, e quindi “Casalvecchio”, tutte derivazioni dell’antico nome.
Scrive Mons. Mario D’Amico nel libro “Storia Arte Folklore di Casalvecchio Siculo: “Al tempo dei Saraceni, infatti, esisteva, ivi, solo appena un gruppetto di case (pagus) chiamato “Pentefur” dal colle attorno a cui sorgeva. E’ appunto quel quartiere di case che guarda il ponente e conserva oggi il nome di “Pentifarri”. Su questo colle, in seguito, il Conte Ruggero, nell’impresa di assoggettamento della Sicilia (1060 – 1072), impadronitosi di parecchi altri casali “ Sarracinorum pagi” (Casalvecchio, Antillo, Misserio, Locadi, Pagliara, ecc.) costruì una fortezza la quale meravigliosamente si prestava, per la sua naturale situazione, ai fini strategici: essa, infatti, dominava, per lungo tratto, il mare e le coste del nostro incantevole versante.
Quindi, per motivi di opportunità abilmente escogitati, unì insieme, segnandone, però, la morte civile, i predetti “Sarracinorum pagi” preesistenti, e per non toccare la suscettibilità di nessuno, li fuse sotto l’unica giurisdizione e nuova denominazione generica di “Baronia di Savoca”, nome, questo, che non apparteneva specificatamente a nessuno di quei paesi, ma che tutti li abbracciava e li comprendeva. Casalvecchio, così, almeno per allora, perdeva la sua autonomia”.
Ecco, perché, quindi, l’antico Palachorìon, pur essendo anteriore alla limitrofa Savoca, le fu sottoposta, per quanto attiene alla giurisdizione ecclesiastica e civile, dal secolo XI al secolo XVIII, durante i quali numerosi, ma vani furono i tentativi di recuperare la propria autonomia. Uno su tutti il riconoscimento di indipendenza ottenuto dal Vicerè nel 1603 e poi revocato nel 1606 quando, per intervento di Messina, la Curia Straticoziale ripristinò la subalternità a Savoca, atto questo che alienò definitivamente la simpatia verso Messina da parte dei Casalvetini i quali simpatizzarono dapprima per la Spagna contro i Francesi ed anche dopo la capitolazione di Savoca alle armi francesi, nel 1676, continuarono a simpatizzare per la Spagna mantenendo così inalterato il rancore verso la città che aveva sempre ostacolato ed interrotto ogni tentativo di autonomia.
“Strenuo difensore dell’autonomia casalvetina” fu, tra il 1665 ed il 1672, anno della sua morte, Fra Ludovico di Gesù Maria, maestro elementare con facoltà premonitorie convertitosi all’ordine degli Agostiniani Scalzi insediatosi nel convento sorto presso la chiesa di San Teodoro nel 1672. Fra Ludovico, che abbandonò la vita laicale per assumere il saio nel 1665 dopo essersi spogliato di tutti i suoi beni per distribuire ai poveri, apertamente appoggiò a Messina il partito dei “Merli”, composto dalla classe lavoratrice e dalla piccola borghesia, contro quello dei “Malvizzi”, formato dalla nuova borghesia e da quei nobili che costituivano quell’aristocrazia feudale la quale, postasi sotto la protezione dei francesi, impediva, per tutelare i privilegi di Messina (di cui Casalvecchio faceva parte), costantemente ogni possibilità di indipendenza dei casalvetini.
Tra il 1793 ed il 1795 finalmente Casalvecchio recuperò la tanto sospirata autonomia, si affrancò da Savoca ed ebbe il proprio Capitano ed il proprio Arciprete, indipendenti nello svolgimento delle loro mansioni, anche se risaliva già al 1780 la sua proclamazione a Comune, data che conferì a Casalvecchio il privilegio di essere uno dei comuni più antichi della vallata d’Agrò.
Nel 1862, dopo l’unificazione dell’Italia da parte di Garibaldi, al nome Casalvecchio fu aggiunto Siculo per distinguerlo da analogo Casalvecchio sito in Puglia. All’impresa compiuta da Garibaldi e dai suoi uomini Casalvecchio partecipò con i suoi “picciotti casalvetini” il cui contributo è onorato da una lapide sita nella piazza principale del paese, da dove partirono i “Cento montanari casalvetini”, piazza Tenente Elia Crisafulli, intestata ad un altro eroe di Casalvecchio, medaglia d’oro al valor militare, caduto durante la I guerra mondiale.

Cosa c’è da vedere
La Chiesa di S. Onofrio, chiesa matrice, è sicuramente molto antica ma non è dato sapere con precisione quante e quali metamorfosi abbia subito nel corso dei tempi.
E’ certo però che la ricostruzione del 1600 circa, dopo una frana che praticamente la divise in due, ne altera completamente la planimetria (come testimoniano scavi eseguiti nella piazzetta della sagrestia) dal momento che la facciata centrale, dapprima rivolta ad ovest verso il monte, viene adesso rivolta a sud verso il mare.
Danneggiata durante il terremoto del 1908, che colpì Messina in modo devastante, fu ricostruita nel 1934 per volere dell’Arcivescovo di Messina Mons. Paino coadiuvato dal Governo Nazionale Fascista.
Fu restaurata ed abbellita nel 1943 dal pittore e scultore messinese Tore Calabrò ( che ha modellato la statua della Madonnina del porto di Messina) il quale, durante la II guerra mondiale, sfollò a Casalvecchio su invito dell’avv. Domenico Puzzolo Sigillo (Presidente dell’Archivio Storico di Stato di Messina) e qui ebbe dall’Arciprete Mario D’amico l’incarico di ideare per la Chiesa Matrice un trono che ospitasse l’antico mezzo busto ligneo di S. Onofrio di epoca anteriore alla preziosa statua d’argento del 1745. Non solo l’incarico fu portato a termine realizzando il tronetto con due graziosi angeli che sorreggono la corona, dove stabilmente è allocato il mezzo busto ligneo di S. Onofrio che viene portato in processione il 12 giugno, ma l’artista grato ai casalvetini per la calorosa accoglienza riservatagli e per voto a S. Onofrio, dalla lettura della cui vita rimase affascinato, arricchì la chiesa di altre opere d’arte di pittura e scultura e di finestre istoriate con la vita di S. Onofrio.
Si possono ammirare all’esterno il settecentesco portale maggiore a colonne in pietra locale e di Taormina. All’interno, dell’originale stile barocco, la Chiesa conserva il pregevole soffitto a cassettoni in autentico legno di castagno, che una volta era a mensole spioventi ed oggi si presenta piano, ed il pavimento a mosaico in pietra marmorea locale e di Taormina con disegni tutti diversi. Si possono altresì ammirare, oltre le citate opere del pittore e scultore Tore Calabrò, anche l’altare maggiore del 1700 in marmo con colonnine tortili e la porticina del tabernacolo in argento sbalzato e cesellato; i sei alteri delle navate laterali: quello di S. Michele in marmo intarsiato e quello del Crocifisso con una bellissima immagine del Cristo entrambi del ‘600, quello di S. Sebastiano con impellicciature in marmo rosso e nero e quello della Madonna del Carmine con impellicciature di marmi giallo, rosso e nero entrambi del ‘700, l’altare della SS. Famiglia il cui paliotto del XVIII secolo è stato restaurato da Tore Calabrò, l’altare dell’Epifania con intarsio in marmo giallo, rosso e nero; il seicentesco fonte battesimale in pietra locale a forma ottagonale; una pila per l’acqua santa con motivi decorativi bizantini del sec. XVII; un lampadario del ‘600; il fercolo in legno, opera del sec. XVII, per il trasporto del mezzo busto legno di S. Onofrio durante la processione del 12 giugno.

Adiacente alla Chiesa di S. Onofrio è il Museo Parrocchiale, istituito quindici anni fa per volontà di Mons. D’Amico, dove accanto ad oggetti rurali e domestici e strumenti del lavoro contadino, si conservano la preziosa statua in argento di S. Onofrio dell’altezza di un uomo, in parte fusa, in parte sbalzata e cesellata, opera dell’artista messinese Giuseppe Aricò, eretta nel 1745 a spese del popolo per ringraziamento della preservazione del paese dalla peste che colpì Messina nel 1743; calice, incensiere ed ostensorio in argento fuso e cesellato; una piccola statua lignea di S. Onofrio che veniva usata per portare il Sacramento ai moribondi; una campana del 1339, epoca del Carroccio, fatta con metalli preziosi all’interno che le hanno consentito di conservare un suono limpido e forte inalterato nel tempo; una tela della scuola di Antonello da Messina raffigurante S. Nicolò; una statua in legno di S. Filippo d’Agira opera di artigiano casalvetino; un frammento, unico e solo, di decorazione marmorea della chiesa dei SS. Pietro e Paolo; un paramento sacro in oro seta e coralli completo di accessori ed altri paramenti in lamina d’argento.

La Chiesa di S. Teodoro martire ed il Convento degli Agostiniani Scalzi sorgono nella zona inferiore del paese.
La Chiesa, dedicata alla Madonna dell’Itria, sembrerebbe risalire al ‘500. Nel 1661 fu offerta dall’omonima confraternita che sovrintendeva al culto, agli Eremitani Scalzi di S. Agostino per la fondazione di un Convento.
Il Convento degli Agostiniani Scalzi sorse e fu riconosciuto nel 1662 e, successivamente nel 1668, dichiarato Casa di Priorato. Ma nel 1896, essendo stato abolito il convento a causa della legge di soppressione del 1866, il Provinciale dell’Ordine degli Agostiniani Scalzi riconsegnava ai confrati della Confraternita di S. Teodoro martire la chiesa attigua all’ex convento, con tutti gli arredi sacri.
Nella Chiesa è conservata una grande tela del 1754 di D. Antonino Calabrò, umanista e pittore casalvetino, autore tra l’altro delle figure dell’armadio custodito nella sacrestia della Chiesa Madre di Novara di Sicilia, dipinte nel 1706.

La Chiesa della SS. Annunziata sorge nella parte posteriore del paese. Risale al ‘500, ma è di stile barocco con stucchi secenteschi. Conserva una tela del sec. XVII ed una scultura lignea eseguita a Napoli da Franciscus de Nardo nel 1742 dedicate alla SS. Annunziata. I monaci basiliani del vicino monastero normanno di S. Pietro e Paolo d’Agrò, sito sulla sponda sinistra dell’omonimo fiume, vi insediarono la Confraternita della SS. Annunziata dedita allo sviluppo della devozione della Madonna. La Chiesa è dedicata anche al culto di S. Antonio Abate di cui esiste un pregevole quadro.

La Chiesa dei SS. Cosma e Damiano sorge alle spalle del paese tra vigneti e castagneti. L’attuale chiesa, completata nel 1933 col contributo dei fedeli, sostituisce quella antica angusta e cadente. La devozione ai Santi è particolarmente sentita e numerosi pellegrini arrivano a Casalvecchio in occasione della festa che si celebra il 27 settembre.

La Chiesa di S. Nicolò risale al sec. XVI ed è la più antica tra le chiese filiali. Del Santo cui è dedicata esiste un grande dipinto su legno della scuola di Antonello.
Vi si esercita anche il culto di S. Antonio da Padova di cui esiste una statua originale barocca in legno che risale al ‘500 ed è espressione di artigianato locale del tempo.

Fuori dal centro abitato, a circa 3 Km., sulla sponda sinistra del fiume Agrò, sorge la Chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.
E’ una monumentale chiesa normanna, riaperta al culto, ed era annessa ad un monastero basiliano fatto costruire intorno al 1117 dal re Ruggero II. Fu ricostruita nel 1172 da Gherardo il Franco come attesta una epigrafe greca incisa sul falso architrave del portale.
Rappresenta uno dei monumenti siciliani più complessi: è infatti una sintesi di elementi di arte bizantina, araba e normanna con i muri, di arenaria, calcare, pietra lavica, tufo, cotto, pomice, in mattoni rossi, bianchi e neri che si rincorrono sulle pareti e nelle archeggiature delle facciate formando motivi decorativi semplici ed eleganti, unici nel loro genere, che, trasferendosi anche all’interno, sottolineano la lineare essenzialità delle colonne monolitiche, sormontate da capitelli, che segnano le navate. Lungo la navata centrale si elevano due cupole: una più alta ed ondulata a spicchi, l’altra, nell’area del transetto, più bassa ed a pianta ottagonale.

Oltre ai tesori d’arte del passato, a Casalvecchio si possono ammirare anche espressioni di scultura moderna, che convivono in una simbiosi che testimonia come l’arte non conosce tempo né confini.
Ci riferiamo alle personalissime opere dello scultore di S. Teresa di Riva Nino Ucchino che sperimenta da cinque anni l’applicazione dell’acciaio nella scultura ed esegue le sue opere, (alcune delle quali si trovano sul lungomare che va da Taormina a Nizza di Sicilia), con una tecnica difficilissima codificata dall’artista già apprezzato dalla critica ufficiale.
Il portale della Casa Comunale, lavoro quasi artigianale realizzato a medio-alto rilievo, è stato realizzato nel 1986 in pannelli di bronzo di 1 mq. ciascuno per un totale di quattro pannelli dove sono raffigurati: a sinistra in alto lo stemma del Comune ed in basso la Chiesa normanna dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, a destra in alto la caratteristica festa del cammello ed in basso uno scorcio di Casalvecchio.
Ma è soprattutto al Monumento ai caduti, sito di fronte al Municipio che deve andare l’attenzione. Realizzato in acciaio inox, ha una altezza di m. 4,50; è impaginato a forma piramidale con due immagini capovolte: al vertice si staglia una figura che simboleggia l’utopia della libertà e della giustizia, in basso emerge con grande rilievo della struttura in tutta la sua drammaticità una figura che simboleggia la violenza subita e la caduta della dignità umana.
Al centro un grande occhio che rappresenta l’intelligenza e la ragione che media i bisogni umani senza risolvere i quali la società subisce gravi scompensi e per tali motivi tutto ciò viene risolto con le guerre.

Tradizioni e feste
Due le Confraternite esistenti a Casalvecchio: quella di S. Teodoro martire e quella della SS. Annunziata.
Esse ebbero in comune non solo il fine religioso nella formazione degli iscritti alla pratica della vita cristiana ma anche quello sociale espresso con l’assistenza reciproca dei soci e col venire incontro, insieme con la Chiesa Madre, alle necessità del prossimo secondo le esigenze dei tempi.
Oggi le Confraternite conservano la tradizione delle loro origini, ma non hanno più alcun ruolo se non quello della custodia delle Chiese e dei cortei durante le cerimonie religiose.

La Festa del Cammello (‘u camiddu), voce della tradizione popolare, si fa risalire al 1793, quando Casalvecchio, affrancandosi da secoli di sottomissione a Savoca, recuperò la sua indipendenza ed autonomia.
Pur non avendo carattere religioso si svolge per le vie del paese prima della processione del santo in occasione della festa di S. Onofrio. E’ una maschera all’interno della quale due giovani raffigurano il cammello con le due gobbe simulandone, attraverso perfette manipolazioni, il movimento della testa e della bocca di legno.
Simboleggia Savoca (che per la sua caratteristica geofisica, adagiata com’è nell’incavo tra due colline, all’occhio dei casalvetini assume la forma di un cammello) domata da un cammelliere, raffigurante Casalvecchio, che guida il cammello, prepotente con i deboli e untuosamente servile con i potenti, lungo le vie del paese tra urla e schiamazzi di folla.
Considerata l’allusione, tra il burlesco e l’ingiurioso, i Savocesi non hanno mai gradito “’u camiddu” che, in senso dispregiativo, chiamano “’u camiddazzu”.
La Festa di S. Onofrio, patrono del paese, si svolge in due tempi.
La prima parte, meno solenne, si svolge il 12 giugno quando il mezzo busto ligneo, custodito per il resto dell’anno nel tronetto della Chiesa Matrice, viene issato sul fercolo e trasportato all’inizio del paese a memoria di quando nel lontano 1743 i casalvetini lo trasportarono e lo lasciarono a guardia del paese affinchè lo preservasse dalla peste con il voto di erigergli, se questo fosse accaduto, una statua d’argento ad altezza d’uomo quale ringraziamento per lo scampato pericolo.
La seconda parte, che h luogo la seconda domenica di settembre, vede la statua argentea sfilare in processione per le vie del paese, ed è preceduta il giorno della vigilia dal gioco “di quartareddi” (comunemente conosciuta come la pentolaccia) e da “u sciccareddu” (l’asinello), una maschera fatta di canne e cartapesta con incorporati giochi d’artificio che scoppiano con regolarità, che ha lo scopo di richiamare in strada la gente per renderla partecipe della festa.

Altre feste caratteristiche sono: “a cerca” (la ricerca) una serie ripetitiva di canti e cori eseguita ogni anno, durante la settimana santa, nella notte tra il Giovedì ed il Venerdì Santo, lungo le varie stazioni della Via Crucis attraverso il paese, che vuole rappresentare l’anima che “ricerca” Gesù per onorare la passione ed invocarne il perdono dei peccati. Al corteo partecipano anche le Confraternite: l’origine di queste processioni si fa risalire alle compagnie dei Disciplinanti che, per penitenza si assoggettavano spontaneamente a supplizi e sofferenze per espiare le proprie colpe e mostrare solidarietà al Cristo crocifisso.

La Sagra della Fraternità e della Pace, la cui origine è datata 1760, si svolge in occasione delle festività di S. Teodoro e della SS. Annunziata per ricordare a tutti il bisogno di rapporti cordiali, umani e cristiani indispensabili per l’esistenza di una società migliore. La data più attesa è il 25 marzo, festa dell’Annunziata, quando prima della processione della statua della Santa, una delegazione di confrati della SS. Annunziata, accompagnata dalla banda musicale, si reca presso la chiesa di S. Teodoro, dove attendono i confrati della confraternita di S. Teodoro, e, dopo ave attraversato il paese insieme, si abbracciano davanti alla folla plaudente.

Origini e sviluppo del culto di S. Onofrio, patrono del paese
Il Patrono di Casalvecchio Siculo è S. Onofrio anacoreta. Il culto per tale Santo è, quivi, assai antico: se ne ha una prova inconfutabile nel “Diploma di Donazione” rilasciato da Ruggero II, nel 1117, al Monastero basiliano dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò.
In questo documento si trova un confine, il quale, cominciando dal mare, ascende la fiumara d’Agrò usque ad vallonum capitis nasidae sancti Honuphrii (cioè, fino al vallone nella vicinanza della nasida di S. Onofrio) che è, tuttavia, un fondicello fiumarino, un tempo proprietà della chiesa di Casalveccho Siculo. Adesso tale fiumicello trovasi in un territorio del Comune di Forza d’Agrò, sul punto di confluenza del torrentello o Vallone di Scifi nella stessa fiumara d’Agrò.
E’ “Nasida”, tuttora, nel casalvetino, una specie di isoletta, generalmente coltivabile, emergente dalla fiumara, derivante dal greco “nasidion” (piccola isola), diminutiva di “nasor” (isola). Essendo il Patrono un Santo orientale, Re di Persia, ritiratosi poi nel deserto della Tebaide in Egitto, è facile pensare che la sua devozione sia stata presso di noi introdotta dagli stessi padri basiliani, i quali officiarono qui la vicina e monumentale Chiesa dei SS. Pietro e Paolo: se ne trova la conferma nella grande tela raffigurante appunto S. Basilio e S. Onofrio in atteggiamento di preghiera ai piedi della Madonna che si conserva nella chiesa della SS. Annunziata, officiata anch’essa, a Casalvecchio, dai PP. Basiliani residenti nell’attiguo convento, passato, poi, in mano, di privati per la legge della soppressione del 1866.
Di S. Onofrio si conservano nella nostra Chiesa Madre a Lui dedicate due statue. Una, un mezzo busto in legno, del ‘500, è opera di un artigiano locale; mentre l’altra, tutta in argento e della media altezza di un uomo, è stata eseguita dall’artista messinese Giuseppe Aricò nel 1745.
La devozione dei fedeli casalvetini verso il loro Protettore non conobbe mai soste: le pubbliche attestazioni di fede attraverso i vari monumenti d’arte, che arricchiscono il Tempio a Lui dedicato, ne sono anch’esse una chiara conferma. Così per esempio:
a) la statua d’argento eretta a sue spese, dal popolo, per voto, al suo Protettore, nel 1745, per la preservazione di Casalvecchio dalla peste messinese, ripete ai posteri la fede ardente nel glorioso Santo intercessore, mai invocato invano;
b) le numerose medaglie d’oro, di cui il popolo, nella prima grande guerra 1915/18, volle fosse adorna, per voto, tale statua d’argento, parlano eloquentemente del culto rinnovato e sentito verso il protettore;
c) gli stessi tesori d’arte in pittura e scultura di cui si è arricchito il Tempio di S. Onofrio per opera del rinomato prof. Tore Calabrò, elevano alta, fino al cielo, la voce di una devozione mai smentita per lungo volgere di anni.
d) La festa di sì eccelso patrono viene celebrata il 12 giugno e, solennemente la seconda domenica di settembre di ogni anno con il concorso di tutto il popolo e di numerosi paesi vicini e lontani.

MINIGUIDA
Altezza sul mare: 370 s.l.m.
Superficie: 33,36 Kmq
Abitanti: circa 1600
Distanza da Messina: 39 Km
Collegamenti da Messina: autoservizi dalla città e stazione ferroviaria di S. Teresa di Riva
Monumenti: Chiesa Matrice di S. Onofrio, Chiesa die SS. Pietro e Paolo, Chiesa di S. Teodoro, Chiesa della SS. Annunziata, Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, Chiesa di S. Nicolò, Museo Pastorale, Monumento ai Caduti
Feste: S. Onofrio, ‘u camiddu, ‘a cerca, sagra della fraternità e della pace
Come arrivare: dalla costa jonica lasciando la statale 114 dopo S. Teresa di Riva si imbocca la strada provinciale che si inoltra tra le alture peloritane nella valle d’Agrò percorrendola per circa 15 Km
Dove mangiare: il paese più vicino con un ristorante è Savoca, a circa 4 Km

SERVIZIO SPECIALE

CRONACA DI UNA GIORNATA PARTICOLARE
2 giugno 1994: festa della Repubblica.
Casalvecchio Siculo onora in questa giornata i suoi caduti in guerra e tutti i caduti con l’inaugurazione di un originale monumento dello scultore Nino Ucchino.

Ore 10,00. Arriviamo nella piazza del comune avvolta da una leggera foschia che stempera la visuale di quel susseguirsi di vedute che circondano il paese e ne sfuma i contorni nella calura estiva.
Del resto, oggi, lo scenario consueto che si gode dal belvedere affacciato sulla Valle d’Agrò con l’Etna, Roccafiorita, Forza d’Agrò, Savoca ed il mare che si rincorrono in lontananza, non è protagonista: in questa giornata semplice e solenne si celebrano i buoni sentimenti, la memoria ed il ricordo devoto ai caduti in guerra.
Nella piazza della casa comunale, dove si svolgerà parte della cerimonia, la gigantesca pittura, incorniciata per l’occasione da drappi tricolori, che troneggia sul muro sovrastante le due nuove lapidi marmoree che riportano i nomi dei caduti casalvetini delle due guerre, rifatte da un artigiano marmista del luogo, insieme all’austerità del monumento ai caduti che si staglia maestoso contro il cielo sottolineano la semplice solennnità dell’avvenimento. Imperituri portavoce di un messaggio destinato a durare nel tempo.
“ Non ci sarà mai pace finchè un uomo sarà sottomesso ad un altro e giammai se un popolo sarà sottomesso a un altro popolo”: è il monito severo che accompagna la tragica figura del soldato che sembra sfondare la nitida pittura tinteggiata a colori forti nel gigantesco quadro dipinto dallo stesso Ucchino che fa da contrappunto all’ardito e severo monumento ai caduti, ultima fatica dello scultore-pittore di S. Teresa di Riva, Nino Ucchino che lo ha realizzato oggi, dopo essere stato scelto dalla vecchia Amministrazione casalvetina, grazie all’intervento del commissario straordinario regionale dott. Camillo La Rosa, insediatosi a Casalvecchio Siculo nel febbraio di quest’anno e giunto ormai quasi alla fine del suo mandato con l’imminente tornata elettorale che porterà al paese una nuova amministrazione comunale.
La scultura cinta per l’occasione da un nastro tricolore, è alta mt. 4,50 ed è poggiata su un basamento di cemento armato.
“E’ concepita a forma piramidale – così la descrive lo stesso Ucchino -. Le tre guglie, a sezione triangolare, sono tenute insieme da due grandi figure contrapposte: quella in basso, che emerge drammatica, rappresenta il dolore ed il sacrificio e allo stesso tempo l’umiliazione della dignità umana; quella in alto, che emerge dalla prima, è l’emblema di speranza nella resurrezione dei valori della libertà, della giustizia e della pace.
Un grande occhio si pone al centro dell’opera, coscienza e monito per la generazione di oggi e di quelle future.
Il monumento l’ho realizzato piegando e battendo lamine di acciaio, adattando questo a complesse forme anatomiche e applicando una fitta rete di saldature. Ho voluto conferire a tutte le parti dell’opera una plasticità particolare mediante la creazione di effetti policromi su molti tratti della superficie, mentre la saldatura si interrompe per lasciare trasparire delle parti di acciaio lucidate a specchio”.
Ma il protagonista di questa giornata particolare, sebbene la sua inaugurazione sia il momento –clou della manifestazione, non è solo il monumento ai caduti: bensì tutto il paese dove ogni casalvetino ha il suo ruolo, anche solo emotivo, (come quell’anziano che dal balcone della sua casa che si affaccia nella piazza della cerimonia seguirà solenne e concentrato dirigendo con le mani le note della banda musicale e commosso ascolterà l’inno nazionale), nei festeggiamenti perfettamente organizzati ed orchestrati dal Dott. Camillo La rosa con la valida collaborazione del segretario comunale Dott.ssa Adriana Tripolitano.
Quando arriviamo nella piazza del comune fervono gli ultimi preparativi: il picchetto d’onore dei militari della Brigata Aosta di stanza a Messina attende di assolvere ai suoi compiti, come pure i carabinieri in alta uniforme, i membri dell’antica banda di Casalvecchio Siculo giungono alla spicciolta insieme agli abitanti del paese; dalle vicine scuole elementari e medie arriva un gruppo di scolari col vessillo tricolore in testa. All’interno del Municipio, perfettamente tirato a lucido, è un via vai di persone, mentre si attende l’arrivo dell’Arcivescovo che celebrerà la messa solenne e delle autorità invitate. In un’ampia sala, dove è stato riservato uno spazio anche a noi per l’esposizione delle pubblicazioni dell’Associazione Culturale Parentesi, è allestita, per i giorni 1- 2- 3 giugno, la personale della pittrice messinese Maria Tappi, i cui lavori “rappresentano – come sostiene il critico C. La Mantia – il tramite o meglio la miccia per una esplosione di sentimenti- colori che pur filtrati dalla personale esperienza della pittrice sono patrimonio di ogni uomo. Il fraseggio dei colori, l’alternarsi di gesti decisi- rabbiosi, morbidi- dolci, l’esistenza stessa di spazi che sembrano proiettarsi oltre i confini della tela, testimoniano un non indifferente fermento interiore che si traduce nella soppressione di ogni rapporto normativo con la realtà descrittiva della cose e in una libera espressione del mondo interiore e fantastico della pittrice”.
E mentre indugiamo ad ossrvare la messa a punto degli ultimi particolari, meticolosamente curati, incominciano a giungere le autorità invitate: l’Arcivescovo di Messina Mons. Ignazio cannavò, l’assessore regionale Luciano Ordile, il questore di Messina dott. Attilio Musca e il vice prefetto vicario dott. Gangemi, la signora Giuseppa Di stefano, moglie del commissario dott. La rosa e madrina dlla cerimonia, il comandante del 5° Reggimento Aosta col. Biagio Puliatti, accompagnato dall’aiutante maggiore ten. Col. Ferrara, il vice comandante ed i finanzieri del distaccamento della Guardi di Finanza di S. Teresa di Riva, la prof.ssa Laura Fleres preside della scuola media di S. Teresa di Riva e del suo distaccamento di Casalvecchio Siculo, il vice presidente della Provincia Regionale di Messina Carlo Mastrojeni, il presidente dell’UNUCI prof. Ignazio Cartella, l’ufficiale sanitario del comune di Casalvecchio Siculo dott. Francesco Bottari, i parroci di Furci Siculo Francesco Donsì, di S. Alessio Siculo Giuseppe Tartì, di Misitano D’Agostino, di Misserio Nunziato Mantarro, di Mitta, il comandante della stazione dei Carabinieri di Casalvecchio Siculo Antonino Clemente, il capitano dei Carabinieri Francesco Jacinto comandante della compagnia di Taormina, qualche rappresentante della disciolta amministrazione casalvetina, il commissario straordinario regionale di Valdina ed Ucria dott. Eduardo Bottaro, il vice direttore del Banco di Sicilia dott. Natale Freni ed il preposto salvatore Speranza dell’Agenzia di S. Teresa di Riva dell’Istituto di credito da poco tempo divenuto tesoriere del comune di Casalvecchio Siculo, lo scrittore Geri Villaroel oltre, naturalmente, lo scultore Nino Ucchino, mentre il presidente della Regione Siciliana on. Franco Martino ha inviato un telegramma augurale.
Tutto è finalmente pronto: il paese, indossato l’abito della festa, inizia i festeggiamenti.
Il breve corteo si muove lungo la linda strada principale che dalla casa comunale porta alla chiesa matrice di Sant’Onofrio dove l’arcivescovo Mons. Ignazio cannavò concelebrerà la messa solenne insieme ai Rev. Sigillo, Cannavò, D’Amico e Tatì.
La chiesa è talmente gremita da non poter ospitare tutti gli intervenuti e così, tra coloro che sostano sul belvedere adiacente la matrice, si intrecciano conversazioni che la brezza trsporta insieme alla musica ed alle preghiere provenienti dall’interno.
Dalle parole captate qua e là si coglie la soddisfazione per questa giornata che vede protagonista un piccolo paese dove di solito non succede mai niente e che, oggi, ha avuto la sua occasione di trovarsi coinvolto in qualcosa che esula dalla routine e dalla quotidianità. L’attivismo e l’azione decisa del commissario straordinario dott. La Rosa ha dato, in questi suoi pochi mesi di amministrazione, uno scossone al torpore e all’abbandono di anni dovuto alla cattiva gestione della cosa pubblica, e vivo è l’apprezzamento dei casalvetini per le tante piccole e grandi cose che egli è riuscito a fare per la collettività. E questa manifestazione, voluta così, potrebbe dunque anche essere il punto di partenza per cose future da fare per lo sviluppo di questo grazioaso centro collinare.
Terminata la cerimonia religiosa, giunge il momento-clou della giornata: l’inaugurazione del monumento ai caduti.
Il cielo adesso è terso, l’atmosfera solenne.
I carabinieri in alta uniforme prende posto ai lati del monumento, i bambini delle scuole si schierano accanto, da un lato prendono posto le autorità convenute e dall’altro si allinea il picchetto d’onore.
E mentre nell’aria si diffonde la musica della banda che si alterna al suono della tromba del picchetto d’onore, dal palazzo municipale avanzano lentamente il commissario straordinario dott. La Rosa con la fascia tricolore, seguito dalla corona d’alloro ( che sarà deposta tra le due lapidi di marmo su cui sono incisi a futura memoria i nomi dei soldati casalvetini caduti nei due conflitti mondiali) portata dai vigli urbani in alta uniforme, Antonino Spadaro e Onofrio Trimarchi che indossano, tra i primi ad aver recepito la recente legge regionale varata in tal senso, la nuova divisa uguale per tutti che uniforma così il corpo dei vigili urbani di tutti i comuni della Sicilia.
A qualche passo di distanza avanza una corona di fiori portata da Giuseppa Mesa e Diana Saccà, impiegate comunali.
Lentamente la madrina, signora Di Stefano La Rosa, taglia il nastro tricolore che cinge il monumento mentre, intonate dalla tromba del picchetto d’onore, si levano le solenni note del silenzio. Dopo la benedizione del monumento da parte dell’Arcivescovo ed i brevi discorsi di rito del commissario dott. La Rosa, del questore dott. Musca, dello scultore Nino Ucchino, e la recita di una poesia da parte del segretario comunale dott.ssa Tripolitano, è il momento dell’alzabandiera.
Le note dell’inno di Mameli, intonato dalla tromba del picchetto d’onore, e proseguito dalla banda casalvetina, risuonano poderose.
E’ un momento magico, commovente: il silenzio è impalpabile, tutto è immobile e resta come sospeso nell’aria.
Sentire risuonare l’Inno d’Italia, in questo piccolo paese immerso nel verde ed abbagliato dal sole, fa un certo effetto: in un momento il sapore della storia e l’atmosfera viva e vitale delle cose semplici si confondono tra di loro ed avvolgono la mente.
Solo quando l’ultima nota si spegne, tutto ritorna normale.
Riprende il brusio, il picchetto d’onore ed i carabinieri in alta uniforme rompono le righe, gli ospiti si avviano al rinfresco che si svolge all’interno della casa comunale: a poco a poco la piazza si svuota.
Restano soltanto, solenni ed immobili, il gigantesco dipinto ed il maestoso monumento ai caduti a ricordare, nel tempo, una giornata particolare.

La banda di Casalvecchio Siculo

Il corpo musicale casalvetino merita una piccola nota a parte.
Nel suo libro “Palachorìon” il Reverendo Mario D’Amico scrive:
“L’istituzione di una Scuola musicale per allievi fu chiesta ed ottenuta dai cittadini di Casalvecchio Siculo verso il 1863, in omagio e memoria dei Picciotti Casalvetini, i quali, il 4 aprile 1860, “capitanati dall’invitto campione della libertà, Cav. Luciano Crisafulli” erano partiti, al suono di una improvvisata fanfara, dalla piazza della Chiesa Madre per unirsi agli altri garibaldini. Così avvenne che, in virtù di un decreto reale, sorgesse, in Casalvecchio Siculo, una Scuola musicale destinata alla preparazione degli allievi a carico del bilancio comunale.
Fu, questa, la premessa per l’istituzione definitiva di quel complesso bandistico voluto dai cittadini, nel 1866, grazie alla intraprendenza ed incoraggiamento dei notabili del paese…”
Ancora adesso finanziata dal Comune come Scuola Musicale, la banda è diretta da circa 10 anni dal maestro Giovanni Alibrandi, del conservatorio Corelli di Messina, ed è composta prevalentemente da giovani anche se non manca la presenza di veterani come Giovanni Crisafulli, attualmente suonatore di flicorno contralto, che ha iniziato a suonarvi sin dall’età di 14 anni ed oggi con i suoi 60 anni di presenza costante è il membro più anziano, ed Agatino Declò che suona la grancassa.
Una volta considerata come il più valido ed immediato mezzo di diffusione della cultura musicale, soprattutto nei piccoli centri lontani dalla città ed in mancanza delle opportunità offerte dagli attuali mass media (radio, televisione, etc. etc.),oggi la banda casalvetina, un po’ come del resto tutte le bande, sopravvive grazie alla passione di giovani volontari sotto la spinta di una antica tradizione che si tramanda da padre in figlio.

Filippo Briguglio

“Parentesi”anno VI n. 25 – maggio- giugno 1994

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