Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretto da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

RECENSIONE AL ROMANZO FILOSOFICO “LA NOTTE SCENDE SPESSO” DI gAETANO gIUSEPPE aMATO

 L’AMBIVALENZA DELL’EROS

 

di Santi Lo Giudice

1) Soltanto dalla forza ella fu vinta…, ed anch’ella vol’essere vinta solo dalla forza. Ovidio,L’Arte di amare). 2) Bronzino (1540-45). Amore e Psiche – Allegoria del tempo
in basso a destra: Gaetano Giuseppe Amato

 

 

 

 

 

 

Sì, penso proprio che abbia ragione Merleau -Ponty quando sostiene che la sessualità più che esprimere una funzionalità biologica esprime “un intenzionalità che segue il movimento generale dell’esistenza e declina con essa”; ossia che la sessualità, più che un impulso è il modo di leggere il mondo o. come insegna Freud, il chiavistello che consente di accedere a quegli scomparii popolati da relazioni e comportamenti che erroneamente, da Socrate in poi sono stati scambiati per atti della sfera razionale.

L’accento della sessualità non cade su l’i o che ha un sesso ma sul sesso dell’io, tanto che Sartre può affermare che ”né la turgescenza del pene, né alcun altro fenomeno fisiologico possono spiegare e provare il desiderio sessuale, più di quanto la vaso-costrizione o la dilatazione della pupilla possono spiegare o provocare la paura”. La sessualità non è racchiusa negli organi genitali, è desiderio, e ciò a cui tende non è l’orgasmo, ma l’incontro e la fusione con l’atro, in quanto solo desiderando e sentendosi desiderato l’uomo si scopre il possesso di un sesso. Ma il desiderio è sempre carico di una duplice valenza: come apertura o come chiusura verso l’altro. Come apertura ha nome amore, come chiusura perversione. Nell’amore si desidera l’altro o meglio il “desiderare” dell’altro. Nella perversione il desiderio non desidera altro che se stesso, non desidera uscire da quella breve tensione che lo separa dalla soddisfazione che la estingue. Esempio letterario di perversione è costituito dal desiderare del seduttore kierkegaardiano che, nella frenetica ricerca di donne da possedere, non fa leva né sulla fedeltà né sulla memoria, perché sorretto dal convincimento che ogni donna costituisce un impedimento all’Amore che “ama l’infinito e teme il limite”; oppure dal desiderio della grande mistica spagnola Teresa d’Avila quando, colta da raptus di possesso dello spirito divino, invoca: “fornica con la mia anima su un letto di spine, o Signore”. In entrambi si registra un sostanziale oblio dell’alterità e una violenta affermazione del proprio sentire egoico.

Esempio d’amore che si converte nell’altro è quello tragico-dionisiaco di Abelardo ed Eloisa che fanno filtrare il loro amore verso Dio attraverso l’amore carnale che si riservano reciprocamente, al punto che un filosofo sensibile a queste tematiche come Jaspers dice “che quell’amore é una fede, perché Eloisa con Abelardo, e solo con Abelardo si sa con Dio; non il suo Dio quello che le chiede di separarsi da Abelardo cosi come la sua intenzione di voler seguire Abelardo persino all’inferno non significa che Abelardo sia il suo Dio, che tra Dio e Abelardo sceglierebbe Abelardo, ma che non sarebbe un vero Dio quello che cercasse di separarla da Abelardo”. L’amore di Abelardo ed Eloisa è un amore emblematico di trascendimento che, purtroppo, la filosofia occidentale (ad eccezione di Nietzsche) da Platone a Hegel non ha voluto comprendere, se finanche Hegel sostiene che l’amore è “il sentimento del tutto”, che “la sua verità non consiste nell’ immergersi nella corporeità “. poiché il suo fondamento è la coscienza di Dio e della sua essenza come amore”. Questo limite del pensiero occidentale, che soffoca l’amore nella indifferenziata unita del tutto, con conseguente annullamento del sentire delle singolarità e delle individuazioni, tradisce quel profondo destino di morte che traspare nel bel romanzo filosofico La notte scende spesso (Intilla ed, Messina 1991 di Gaetano Giuseppe Amato, che nella prossimità della “morte” vede la condizione dell’amore o meglio il legame più stretto degli amanti. Amato – in netto contrasto con il modo di sente postmoderno che vede la liberazione sessuale all’insegna della vitalità che fa della morte un disvalore assoluto – attraverso il percorso esistenziale di Massimo De Angelis, protagonista del romanzo, testimonia come la sessualità, giocata contro il fantasma della morte, perda la sua ambivalenza e il suo rischio, e come, diventando abitudinaria, essa stessa esprima morte. Ecco perché il legame relazionale che accompagna le vicende sessuali di Massimo (Gemma, Roberta, Donata) si consumano sempre in prossimità di un evento luttuoso, se non addirittura, come nel caso di Nerina, in una vita segnata da un morbo devastante ma pur sempre spazio spirituale in cui si rinnova “Il miracolo della perenne freschezza e della sempre rinascente verginità”.

“ Che significato aveva questa coincidenza di amore e di morte nello sviluppo della mia storia?”, si chiede Massimo, nel cercare di fare un bilancio della propria esistenza. E la risposta gli giunge, per altri versi, dal vissuto della madre, quando questa, nel sussurrargli che “ il dolore, maestro infallibile che sa dare ad ogni cosa un senso e un sapore”, intende ricondurlo a prendere coscienza dell’essenza della vita rappresentata dall’ambivalenza di tutti i sentimenti.

La narrazione di Amato offre una lezione di come la sessualità “’poema dionisiaco” non sia un appendice fisiologica, ma una epifania che attraversa l’esistenza dal suo venire alla luce tino al suo perire, se è vero che la sintomatologia sessuale riconduce al passato e al futuro, alla relazione “io-altro” che fonda le dimensioni strutturali dell’esistenza; e, come tale narrazione, abbia il coraggio di indicare net corpo i topos di ogni modalità d’ esistenza ( compreso il sentimento di espiazione) non nei senso che il corpo la indica, ma nel senso che la abita, come esplicitato chiaramente nelle parole di Donata: “Anche tu, come gli altri, intendi’ il corpo solo come strumento di concupiscenza, io invece lo adopero come tramite concreto dei richiami dell’anima”.

E i richiami dell’anima conducono e vivere della “follia del dio”. Ciò sapeva lo stesso Socrate anche quando identificava la felicità con la conoscenza. Ciò sa il corpo delle figure femminili tratteggiate magistralmente da Amato: quel corpo avvinto da quella passione che non attende solo la visita del corpo dell’altro, ma soprattutto esprime la manifestazione di sé che si sente corpo desiderate da altri. E in questo suo sentirsi desiderato il corpo avverte che la sua identità è in pericolo, in quanto, se essere desiderato è un valicare la propria solitudine, non è concesso sapere ciò che saremo quando entriamo nella carne-desiderio dell’altro. Certamente non saremo ciò che siamo, e ciò che saremo è ascrivibile non al regno del senso ma del non senso, perché come dice Eraclito “ i contini dell’anima vai e non li trovi anche a percorrere tutte le strade così profondo è ii discorso che esse comporta”.

Santi Lo Giudice

“Parentesi” anno IV n.17 marzo 1992

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