Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretta da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

ARTE E STORIA – “ECCE HOMO” DI CARAVAGGIO: AUTENTICO O N0?

Nel Palazzo Pitti di Firenze (Mostra inaugurata il 12 dicembre ’91 e che chiuderà i battenti il 15 marzo del 92) figura il celebre “Ecce Homo” di Caravaggio sulla cui autenticità i pareri sono discordi, anche perché presso il Museo Regionale di Messina, si conserva una copia dello stesso dipinto, ritenuto da alcuni studiosi opera originale, pure se risulta fortemente danneggiato da impropri restauri e dalle calamità che colpirono Messina, prima, durante e dopo il terremoto del 1908.

di Fortunato Pergolizzi

(“Ecce Homo”, Genova- Palazzo Rosso-1606? – Una copia è custodita presso il Museo Regionale di Messina, proveniente dalla chiesa di Sant’Andrea in Avellino, distrutta dal terremoto del 1908)

Dal  dodici dicembre 1991, Palazzo Pitti di Firenze ospita una mostra di dipinti del Caravaggio, intesa a far conoscere del pittore ‘maledetto” la tecnica usata per realizzare i suoi discussi capolavori , che gli diedero fama, ma anche inimicizie e incomprensioni, acuiti dalla sua personalità fortemente instabile e caratteriale. Tra le opere esposte riappare il disputato quadro dell’”Ecce Homo” custodito sino al 1929 nel palazzo Rosso di Genova e dopo, nella Scuola Navale della stessa città, del quale, nel Museo Regionale di Messina  si conserva  un prototipo, purtoppo mal ridotto, ma che stimola ancora un contensioso per stabilire quale dei due dipinti è l’originale, poiché quello di Genova, sino al 1921 era catalogato come una copia di Lionello Spada.
La questione però rimane ingarbugliata dati i precedenti che risalgono al 1606, quando monsignor Massimi, proprio a Genova, incaricava i pittori Caravaggio, Cigoli e il Possignano, di dipingere l ‘”Ecce Homo” con il segreto proposito di tenere per sé il quadro che, nel giudicarlo, fosse risultato più aderente al suo gusto. Scelse infatti l’opera del Cigoli (ora agli Uffizi) mentre il dipinto di Caravaggio, come affermava nel 1672 il biografo del Cigoli, G. Battista Cardi, sarebbe finito in Spagna.

Tesi non condivisa dal Longhi il quale sosteneva che il dipinto in questione, proveniva dalla Sicilia e che trattandosi dell’originale, senza comunque l’avallo di alcun documento, la copia di Messina andava classificata come il rifacimento di un quadro eseguilo da un seguace messinese del Caravaggio, come del resto affermava il Mauceri nel 1928, contraddicendo il Sacca, che nel 1906, non solo riteneva l’Ecce Homo” di Messina opera originale del Caravaggio, ma lanciava anche l’ipotesi che nel dipinto, l’autore si fosse autografato nella figura di Pilato, i cui tratti somatici, comparativamente, conducevano alle fattezze del pittore anche se appariva precocemente invecchiato.

Ad alimentare i dubbi sulla autenticità dell’”Ecce Homo” di Genova, intervenivano anche autorevoli storici dell’arte, come il Friedlaender, nel 1955, incerto sulla genuinità, e nel 1959, anche Joffry, alle cui tesi si associavano il De Logu e Jullien, nel ritenere l’opera di buona fattura ma riportavano il discorso sulle tracce del Cardi che indicava, come detto, il trasferimento del dipinto in Spagna, dove però, non si ha notizia della presenza di un’opera del genere.
Da una simile diatriba può germinare allora l’ipotesi che il dipinto originale si sia fermato in Messina, poiché in quegli anni, anche Messina era “Spagna” dove generalmente tutte le navi dirette ai porti spagnoli, sostavano nel porto falcato e nulla vieterebbe di pensare, che il quadro sia stato donato da qualche magnifico signore o prelato, alla chiesa di Sant’Andrea Avellino, tempio dalla facciata incompiuta, che si affacciava nel largo di San Giovanni, di fronte alla sede dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, sui cui resti, con discutibile scelta, fu edificato dopo il terremoto del 1908, il palazzo della Pretura. Per cui, il dipinto di Genova, ottimamente restaurato a cura di Caterina Marcenaro e di Pico Cellini, potrebbe considerarsi quello eseguito, forse, da Lionello Spada per restituire l’autenticità all’”Ecce Homo” del Museo di Messina, ridotto talmente a mal partito da suscitare diffidenze, ma si può anche immaginare che i due dipinti siano entrambi di mano del Caravaggio, poiché era notorio che, quando un soggetto incontrava il favore del pubblico, il pittore, come del resto usavano fare i suoi colleghi, non aveva difficoltà a rifare la stessa opera.

Anche perché non risultava gratuita l’affermazione del Sacca, quando nella figura del Pilato intravede l’autoritratto del Caravaggio, il quale con chiara gestualità, invita a rivolgere lo sguardo al Cristo, dall’espressione di umiliato, ignudo, coperto del solo perizoma e con le mani legate che tengono la canna a guisa di scettro, mentre un aguzzino, con fare beffardo, tende a posargli sulle spalle il rosso mantello. Nel volto del Pilato la somiglianza con Caravaggio si desume confrontando le altre immagini che di sé ha lasciato il pittore, sia da giovane, nelle vesti bacchiche, che da adulto, anche se nell'”Ecce Homo’, Caravaggio-Pilato, si mostra precocemente invecchiato, con il volto dalle guance smunte e segnato da profonde rughe, con la barba dal pelo bianco, ma negli occhi conserva lo sguardo vivido nello stesso invariato taglio.
Si mostra dunque, il Caravaggio, alla ribalta del quadro, come per dire agli ipotetici interlocutori di considerarlo, come il Maestro che indica, vittima dell’altrui incomprensione e stanco di condurre quella vita di randagio trascinata nella clandestinità, braccato come una bestia dagli sgherri del vendicativo irriducibile Gran Maestro Wignacourt, sin dal 1608. quando fuggiva dalle carceri di Malta per ritornare m Messina dopo una breve tappa a Siracusa.
L’autoritratto del Caravaggio-Pilato ci restituiva dunque l’identità di un uomo ormai disfatto, minato nella salute dall’alcool e dalla malaria, costretto, anche per il suo incorreggibile caratteraccio, a fuggire da Messina nel 1609, sempre protetto dal vescovo francescano fra Bonaventura Secusio, ma che aveva ancora la forza d’animo di continuare a dipingere, anche in Palermo, nuovamente una “Natività” riferita forse a una inconscia matrice di un sentimento rivolto alla famiglia che gli mancò sin dalla più tenera età e che dovette, tale carenza, influire nella formazione del suo carattere e del suo modo di essere violento, insofferente e mutevolissimo negli atteggiamenti dovuti pure allo stato del mal caduco di cui era affetto.
Ma le repentine crisi si placavano quando Caravaggio veniva attratto dalla tensione creativa e dava corpo ai suoi racconti per immagini, che trasferiva sulla tela, catturandole dal vero, senza un prefissato progetto grafico, non utilizzando cioè le sinopie che guidavano generalmente il lavoro degli altri pittori, e fuori da ogni regola scolastica ed accademica, dava origine a uno stilema che doveva caratterizzare l’arte barocca, quell’arte che i gesuiti amavano indicare come la via maestra per glorificare la grandezza di Dio e della Chiesa, in opposizione al concetto francescano che perorava la scelta della semplicità e della verità, come la rifletteva appunto, l’arte del Caravaggio, uomo “… d’inquieta mente…” come fu detto, ma che affidava alla sua opera il messaggio che doveva far dimenticare “l’uomo”, che fu baro e assassino, e farsi ricordare invece come artista ineguagliabile, creatore di intramontabili capolavori.

Fortunato Pergolizzi

“Parentesi” anno IV n.17 marzo 1992

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