LA FONTANA DEL PUTTO ALATO
di Fortunato Pergolizzi
Per sfuggire agli aliti velenosi soffiati dalle rombanti marmitte degli opprimenti autoveicoli di ogni misura e stazza e sottrarsi ai sibili
delle ambulanze che lacerano l’aria e trafiggono da un capo all’altro
quella che fu la “nobilissima città di Messina”, non rimane altro da fare che varcare gli indefiniti confini del perimetro urbano e avviarsi per strade di campagna e trazzere, per raggiungere luoghi nascosti sopravvissuti alla irrefrenabile avanzata del cemento.
Si lascia, allora, l’ultimo nastro d’asfalto che si inanella per balze e carruggi, per imboccare un tratturo nella fiumara, segnato da smeraldine malve, cespi di decorativo acanto, infide ortiche e ciuffi di azzurra borraggina, smerlettata la siepe, da sucameli e pratolina gialla. Un festone, che richiama le auliche decorazioni robbiane, e accompagna sino al vicolo che s’incunea nel vallone, tra cupole di fronde punteggiate da arance e limoni, e finisce tra quattro case di un minuscolo borgo, Ruvolo si chiama, sopra Bordonaro, uno dei quarantotto casali che cingevano la regina del Peloro. Qui, nell’atmosfera rarefatta fa da contrappunto il ticchettare di una minuscola motozappa, le cui frequenti pause, lasciano spazio ai cinguettìi dei passeri e cacasipala che a frotte, volano a ricamare il cielo, e voci ovattate tra abbaiar di cani e gorgoglio di acque proveniente da una inusitata lontana che chiude la stradina ai piedi del monte.
Si tratta di una altana sorprendente per un luogo cosi appartato e modesto, sia nella struttura dei mattoni tirati a mano che nelle decorazioni superstiti ai continui saccheggi che hanno lasciato quasi spoglio i manufatto ancora impreziosito da sparuti ornamenti, come i capitelli delle paraste, guarniti di emblematici melagrani, paraste che affiancano una tonda nicchia nel cui grembo accoglie un grazioso puttino alalo, da cui viene l’acqua che si versa copiosa, nella sottostante vaschetta di pietra.
Ma si e salvata pure dalla depredazione, una targa dedicatoria murata sopra la volta dell’ancona decorata a conchiglia, che porta incisa l’epitaffio solennemente vergato con caratteri romani e lingua latina, dove si legge la motivazione del dono della fonte, alla gente del luogo le cui acque ancora oggi, sono, dopo 185 anni, indenni da atrazine varie e condimenti di cloro.
Recita infatti l’epigrafe; “..D.O. M./Hic Ego Ouas Fundo Lynphas Sunt Copia Ruris/ Deliciae Domini Pax Et Amica Ouies/ Fratrum De Cardili Unaramis Concordia Pesuit/ Anno MDCCCIV..”. che tradotto in un linguaggio meno arcano per i villani di allora e dei burgisi di oggi, si fa dire al piccolo nume che “Qui io verso queste acque che sono abbondanza della campagna, delizia del padrone, pace e amica quiete. Lunanime concordia dei fratelli De Cardili pose nel 1804…”.
Solo che quelle abbondanti e deliziose acque dovevano essere attinte, forse per un senso di sottile ironia dei donatori, dalla “ciolla” del putto alato, scolpito da buona mano d’artista, con l’espressione vagamente distratta lo sguardo apparentemente compunto e con le manine congiunte, come per farà perdonare quel modo insolito di porgere il prezioso elemento. Pero gli arti inferiori dell’ineffabile pargoletto, adombrano le forme di una creatura silvana, per cui suggerisce simbolo significati legati alla cultura pagana esorcizzata nei salotti
della buona società del tempo, animata dal gusto neoclassico, illuminista e giacobino, quando si tendeva al recupero del linguaggio misterico del mito della antica Grecia. E il putto alato, potrebbe riproporre significati reconditi per quei luoghi agresti, dove aleggiano le feste cereali, dedicate a Demetra, che si tenevano con fiaccolate al calar della sera e processioni di fanciulle che portavano canestri di fiori e melagrane e, il crine, ornato di papaveri, e si danzava al suono sottile delle siringhe e dall’acuto timbro dei timballi. E poteva condurre l’iconografia del pargolo alato, alla allegoria della Katàbasi, del miracolo concesso solo a un dio (Poseidone?) di potere emergere dagli inferi, dopo esserci disceso, cosi come accade per l’acqua, che sotto forma di poggia viene assorbita dalle viscere della terra per venire alla sorgente e donarsi, così come suggerisce, anche il mito di Perdix, identificato in Telefo, il figlio di Ercole, disceso agli inferi per subire la metamorfosi di creatura alata che viene alla luce, personificando il sacrale fiotto che dava origine alla vita e rinnovava ogni cosa nutrendo le campagne, quell’ acqua cara agli oracoli che l’aspergevano con frasche di lauro, benedicente su le greggi e sui pastori nelle feste primaverili di Palilia.
Ma l’incanto di Ruvolo si dissolve quando il sole comincia a spegnere i suoi lumi, adombrando la vallata dagli echi paganali e si ritorna, rifacendo a ritroso, viuzze e trazzere, verso la città in preda all’infernale Proserpina. ■
Fortunato Pergolizzi
“Parentesi” anno I n.5 novembre-dicembre 1989