Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretta da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

Un amarcord di MESSINA, CINQUANTANNI FA

 COME ERAVAMO …

di  Michele Tornabene

 

 Provenire da una famiglia di ferrovieri, cinquant’anni fa, significava non avere una identità definita, dati i continui trasferimenti cui erano sottoposti questi anonimi cirenei della rotaia ed il mio povero papà non faceva eccezione se mi trovai a frequentare le scuole di mezza Sicilia proprio come i figli del Circo.

Ispica, Acquaviva, Casteltermini, Termini Imerese. Caltanissetta, Enna, Palermo e Catania furono le mie tappe scolastiche.

Ad Ispica, ero alle elementari, feci la mia prima esperienza importante: il duce, da pochi mesi fondatore dell’ impero, fece allora un “giro propagandistico” in Sicilia, ed io ebbi modo di vederlo in divisa bianca con i gradi di caporale mentre salutava “romanamente” dalla sua decapottabile le folle osannanti, alla stazione di Acquaviva vidi i primi “volontari” che, per dieci lire al giorno, andavano a liberare la Spagna dalla “barbarica bolscevica”, a Caltanissetta il 10 giugno del 40 ascoltai lo storico discorso del duce che concludeva con la parola d’ordine “Vincere”; a Palermo vidi i primi bombardamenti, mentre a Enna vidi i nuovi liberatori anglo-americani.

A Catania, infine, nel ’44 in una delle tante dimostrazioni, il cui fine effettivo era “caliare” la scuola, conobbi la camera di sicurezza della Questura di Via Vittorio Emanuele e gli schiaffoni di un solerte maresciallo di polizia. Alla fine del ’44 fummo trasferiti a Romena Marea e fu così che cominciò il mio grande amore per “la città”, che tanto ha dato al mio arricchimento culturale.

L’impatto non fu certo felce perché capitai a Messina nel mezzo di una sommossa popolare durata un paio di giorni. Mi pareva di essere Renzo Tramaglino nella rivolta di Milano: donne, bambini e reduci ingannati furono i protagonisti di una ribellione alla fame che regnava sovrana in quel periodo in città; la mia fifa ed il ricordo della questura di Catania furono per me salutari perché, malgrado i miei istinti, seppi starne fuori.

Era la Messina delle “stampatelle” (sigarette confezionate con tabacco di cicche raccattate presso gli accampamenti delle opulente truppe alleate), delle Due Vie, del Casalini, dei Separatisti, degli Unitari, dei repubblicani e dei monarchici, la
Messina di “Pidocchia”, incorruttibile accattone che, a differenza di quel che succede oggi, mai avrebbe gridato, per denaro, viva la Repubblica Era. però, anche la Messina del Notiziario, degli Scevola, dei D’Argenio, dei Ciccio Patti, del La Farina, del Maurolico, e del Seguenza, una Messina mutilata e ferita con una grande voglia di rinascere.

Scolasticamente risentivo lo sbandamento della guerra e dei numerosi trasferimenti. Fui perciò parcheggiato in via Ghibellina al “De Amicis” del Prof. Siciliano per un restauro culturale che mi avrebbe consentito, l’anno successivo, l’approdo alla quinta classe del Liceo scientifico Seguenza.

Del “De Amicis” ricordo i salutari schiaffoni dei Professor Siciliano, il quale era solito sfilarsi l’anello dall’anulare prima della “somministrazione”; la signora Franzina ed il suo sorriso malinconico per la prolungata prigionia (credo in india) del marito, alla quale devo la fine di un’ostilità congenita con i sistemi algebrici e la trigonometria; fra i compagni Felice Paino, il quale godeva privilegi articolari, essendo nipote dell’Arcivescovo. Veniva poi nella nostra classe la Signorina Rosetta (oggi signora Gazzara) nella quale, eccezionalmente direi, bellezza leggiadria Si fondevano in un tutto armonico con cultura ed intelligenza: la figlia del Professor Siciliano era, per noi ragazzi, il mito della femminilità di quei tempi ed era umano che ne fossimo tutti innamorati.

La guerra volgeva al termine e Messina assisteva allo spettacolo di reduci, scalzi e straccioni che tornavano in Sicilia dopo l’abbattimento della “Linea Gotica”, i Partiti politici si organizzavano mentre i separatisti venivano messi fuori legge: figura di spicco era Cicco Restuccia che ebbe un ruolo determinante nell’opera di proselitismo del Separatismo clandestino.

In autunno del ’45 si torna a scuola e dal “De Amicis” entrai nella quinta C del Seguenza. Credo che fu in quel periodo che ricominciò a funzionare parzialmente l’orologio del Duomo, completamente poi rimesso in sesto intorno al48; in città si parlava del referendum istituzionale che si sarebbe tenuto nel giugno del ‘46 e fece molto scalpore allora un altro giro propagandistico” in Sicilia che Umberto di Savoia, stavolta, prima Luogotenente del regno e poi re di maggio fece al fine elettorale di assestare la sua traballante corona.

Le grandi Famiglie Messinesi erano in maggioranza per la monarchia in quella stagione si distinse nella battaglia del referendum il giovane barone Marullo, ricco terriero nella piana di Milazzo, diventato poi deputato monarchico e che concluse la sua carriera politica da senatore, un ventennio dopo, eletto nelle liste
del Partito Comunista Italiano.

Erano i tempi in cui Gaetano Martino era da poco diventato “duce dei rettori e dei gagà” ed in città cominciava ad avviarsi la ricostruzione.

La quinta C del Seguenza è quanto di più bello io ricordi della mia vita: era preside il Professor D’Andrea, insegnante di ginnastica ed amico particolare della nostra classe, segretario tale dottor Bramante (mi pare) distaccato dalla vicina Provincia alla segreteria del Seguenza.

Il professor Scafidi, appena reduce dalla prigionia, era il nostro insegnante di lettere: citava sempre il De Santis ed il Momigliano, per non dire del Marchesi con i cui testi, credo, andasse a letto; era uomo irascibile e fegatoso, ma di una bontà eccezionale: ebbe il merito di farci sentire uomini malgrado la nostra verde età.

Con il suo fare materno, ma con molta professionalità, ricordo invece la signora Russo di matematica e la signora De Gaetano di scienze e geografia; fra le due non sapevo allora, né saprei ora, assegnare un ordine di preferenza: entrambe erano amabili.

Chi, invece, ricordo con fastidio, è la signorina Puglisi di disegno, insopportabile per i suoi atteggiamenti da donna “non realizzata”.

Dei miei compagni ricordo con piacere Albanese con il suo fare da guascone in sedicesimo, Bruno Baratta ragazzo molto timido, Barresi del quale non riuscivo a capire se fosse siculo o piemontese, Baldassino Bonanno (ex Sindaco di Messina) compassato e riflessivo, Calvi, ex seminarista e grande latinista (passava le copie delle versioni in classe), Totò Capilli da Villafranca Tirrena, D’Arrigo pervicace ed ordinato, credo faccia il chirurgo, Anacleto Lo Giudice l’amico delle castagne infornate ed inseparabile nelle “campagnole”, oggi valido chirurgo a Taormina, Giulio Mastrosimone con la sua area da padre cappuccino era il più vecchio della cordata, Umberto Melluso, oggi stimato operatore economico, parlava come si suole dire con il “cece in bocca”, era fra i più simpatici per gli atteggiamenti da uomo vissuto che si dava in classe e per le storie di numerose “conquiste” che ci ammanniva.

Un discorso a parte merita Angelino Panzera, futuro campione del mondo di catamarano, ragazzo biondo-castano con prestanza atletica la cui bontà era proporzionale alla timidezza, tanto bravo nel profitto
quanto nei rapporti con i compagni. Di lui mi piace ricordare ‘l’episodio petardo’.

Nell’ora di ginnastica, mancando allora qualsiasi attrezzatura, il professor D’Andrea ci spediva in terrazza da dove ci godevamo e il panorama e il passaggio delle persone. Sotto carnevale avevamo le tasche piene di petardi che dalla terrazza lanciavamo nelle vicinanze dei passanti: uno di questi, esplodendo, rovinò le calze di una donna la quale non mancò di reclamare in presidenza. In un primo momento il Prof. D’Andrea, vicepreside, decise di sospendere tutta la classe, ma poi riflettendo trovò più efficace, per stanare il colpevole, sospendere a casaccio Angelino Panzera che, senza fiatare e con molta classe, raccolse i suoi libri per andare a casa; a quel punto il sottoscritto colpevole uscì allo scoperto con soddisfazione di tutti e del Prof. D’Andrea in particolare che da allora ci precluse definitivamente la terrazza. In città in quel periodo gli avvenimenti che si susseguirono come le ciliegie offrivano l’occasione per le solite “dimostrazioni” che si concludevano alle “Due Vie” fra ciarlatani, imbonitori, intrallazzisti, mariuoli e meretrici. I più fortunati andavano al cinema Italia o al Casalina infatti i gestori avevano scoperto che studenti, provinciali, meretrici e invertiti erano un ottimo mercato sicché le sale cinematografiche crescevano tutti i giorni e la clientela aumentava. Alcuni di noi, poi, “lavorando do di fine” sulla carta d’identità presero l’abitudine a girare per via Industriale e dintorni non impinguando certamente i dividendi di quei bravi “imprenditori”.

In gennaio o febbraio, però, i pretesti per le dimostrazioni si erano ridotti all’osso mentre la voglia delle “campagnole” si accresceva. Fu così che, dopo un vertice tra i maggiorenti della classe, fui autorizzato a portare a termine l’operazione “cimicia”. Procuratomi un mozzicone di candela presso la chiesa di S. Giuseppe in via Cesare Battisti, un pezzo di fil di ferro ed una scatoletta di cartone vuota, non visto, feci un’incursione allo scalo marittimo delle ferrovie laddove sostavano i vagoni che, una volta al giorno, collegavano Messina con Patti e Messina con Taormina. Salito sulle carrozze ed acceso il mozzicone di candela bastava dirigere la fiammella fra le giunture dei sedili di legno perché carovane di quelle bestioline uscissero allo scoperto; era poi un giochetto farle cadere con il fil di ferro nella scatoletta di cartone. La mattina seguente insieme ad altri “volontari”, dieci minuti prima della campana, provvedemmo ad un’equa distribuzione fra le aule prestabilite, mentre fuori i maggiorenti organizzavano l’ingresso, la sorpresa e la protesta.

Fu un vero successo, il Preside Mancuso strofinando più volte gli occhiali non riusciva a spiegarsi tanto disastro, chi invece non la bevve fu il segretano Bramante che, però, da uomo di mondo, tacque; cosi la scuola fu chiusa per disinfezione e gli “imprenditori” di via Industriale non si rallegrarono per l’aumento di tanti visitatori portoghesi.

Poi la fine dell’anno scolastico: il referendum istituzionale e le successive polemiche; ma Messina, questa città dall’aspetto sonnolento ed apatico, eppure tanto laboriosa, si avvia decisamente alla sua ricostruzione anche se alcuni problemi di allora devono essere ancora risolti.

A questa meravigliosa città ed alla nostalgia dei miei anni verdi, non certamente belli, è dedicato questo mio intervento per il quale ringrazio tanto la rivista “Parentesi”. ■

Michele Tornabene

©” Parentesi” anno I n. 4 settembre/ottobre 1989

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