Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretto da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

Economia : QUANDO DICO CHE…

Da più parti, in questi ultimi anni, è stata sottolineata l’esigenza di procedere al risanamento della finanza pubblica. Tuttavia i provvedimenti tampone, adottati sino ad oggi in maniera disorganica, si sono rivelati semplici sceneggiate che hanno sempre contribuito a peggiorare la situazione economica delle categorie meno abbienti.

di Giovanni Pagano

Infatti il forte recupero dei profitti delle Imprese, connesso all’assalto al mondo del lavoro, allo stato sociale ed alla svendita di Aziende statali efficienti come l’Alfa Sud e le Acciaierie del Tirreno Spa, non ha creato nuova ricchezza, ma ha dissanguato l’economia reale con una ristrutturazione senza sviluppo che ha accentuato le diseguaglianze territoriali e sociali, erodendo il salario e moltiplicando la povertà. Diminuiscono gli occupati nella grande industria e l’Italia conquista il primato della disoccupazione, sorpassando la stessa Inghilterra; si registra una società civile profondamente divisa e l’esclusione, senza speranza alcuna, dei giovani; la segregazione del Sud in una disoccupazione endemica e con una marea crescente di donne che preme sul mercato senza alcuna prospettiva.
Per di più, la liberalizzazione valutaria accentua il carattere recessivo della politica economica tesa a finanziare le aree europee più forti, in attesa del mercato unico del 1992, in cui l’Italia potrebbe rischiare di diventare terra di conquista per le imprese straniere.

Tale situazione è stata determinata dal compromesso sociale che ha trasformato il sindacato collaborativo in una cinghia di trasmissione delle compatibilità del quadro istituzionale, dei valori ed interessi padronali, di un interesse generale al profitto rivolto contro i bisogni e le lotte dei lavoratori, per garantire l’ordine sociale.

S’è trattato di un attacco pesante alla coscienza di classe, all’unità ed al ruolo politico e morale dei lavoratori, che ha visto la demolizione delle tutele c dei diritti individuali, la precarizzazione del lavoro, la rottura della solidarietà con i settori più deboli e l’accettazione dell’oggettività della ristrutturazione; il che ha consentito l’espulsione politica dei più combattivi, la decapitazione delle lotte, la perdita di ogni controllo ed autonomia degli obiettivi ed il moltiplicarsi delle fratture, delle disuguaglianze e delle spinte individualistiche. Lo sciopero si trasferisce cosi sempre più a valle degli accordi sindacali e nel rifiuto dei loro contenuti, determinando una profonda crisi di egemonia a cui il sindacato risponde con la richiesta di monopolio istituzionale, garantito dallo Stato ed imposto con sanzioni, della rappresentanza e dello sciopero, contro l’emergere di coalizioni spontanee (COBAS, Sindacati autonomi) autorganizzate, in stridente contrasto con le simpatie ufficialmente espresse al Sindacato SOLIDARNOSC dei polacchi.

È proprio in questo panorama devastante che la maggioranza di governo prospetta alle altre forze politiche nuovi patti consociativi fondati sulla riforma autoritaria delle istituzioni; rivendica il voto palese per un migliore svuotamento del Parlamento, eludendo conflitto e dissenso; ripropone fumosamente tagli agli sprechi ed omologa una pratica di legittimazione quotidiana del dominio capitalistico.

È noto che la crisi della finanza pubblica deriva:

  1. a) da un prelievo sui lavoratori dipendenti ufficiali, in continua riduzione numerica, destinato ad assistete una crescente massa di evasori e sommersi, attraverso la fornitura di servizi, trasferimenti e protezioni delle rendite finanziarie;
  2. b) dal deficit pauroso ed in continuo crescendo degli Enti Locali che nel 1986 ha raggiunto i 45 mila miliardi;
  3. c) dagli interessi passivi — che rappresentano la prima e maggiore voce di spesa pubblica — che nel 1987 ha raggiunto in valore assoluto i 70.290 miliardi mentre la previsione per il 1989 è di 98/ mila miliardi; il debito pubblico ha già raggiunto invece il milione di miliardi

Se questi sono i termini reali del problema, la soluzione dovrebbe poter poggiare su tre pilastri fondamentali: il primo è rappresentato da una vera e propria riforma fiscale finalizzata a ristabilire finalmente il principio costituzionale della uguaglianza dei cittadini, sino ad oggi cosi pacchianamente disatteso con la loro divisione in tre categorie: quella del popolo lavoratore che paga perché c’è la trattenuta sulla busta paga; quella dei ceti intermedi (professioni, commerci, artigiani, piccola impresa) i quali pagano non in base a quello che guadagnano ma in base ad un patteggiamento che fanno con lo Stato attraverso le corporazioni; quella dei signori (i possessori dei patrimoni, delle rendite, dei grandi redditi da capitale), i quali, di fatto, attraverso tutti i meccanismi legali delle elusioni, non pagano niente o quasi.

Il secondo pilastro è rappresentato dalla riduzione della «voce interessi» che può essere perseguita diminuendo i tassi per rendere meno caro il denaro e favorire lo sviluppo con un miglioramento effettivo anche del bilancio dello Stato, onde evitare che i tagli programmati siano vanificati da un incremento degli interessi passivi per effetto dell’aumento del tasso di sconto.

Il terzo pilastro è rappresentato dalla necessità di fare emergere, finalmente, l’economia sommersa accrescendo l’imposizione indiretta, idonea a preservare il risparmio ed a colpire l’iperconsumo a combattere l’evasione fiscale e, contestualmente, l’eccesso di spesa pubblica e l’insufficienza dei servizi pubblici, astenendosi dal far pagare nuovi balzelli o ticket al popolo lavoratore perché varrebbero a spogliarlo del minimo vitale; a definire più rigide procedure di spesa, ponendo un limite agli Enti Locali nella programmazione di opere pubbliche costosissime ed inutili per la Collettività. Assistiamo, infatti, ad una vera e propria gara di emulazione intesa a stabilire chi è il più bravo a sperperare il pubblico denaro, con il solo risultato di fare beneficiare di questa dissennata politica di spesa gli appaltatori delle opere e le Autorità amministrative e politiche che hanno la possibilità di orientare la gare di appalto.

Ed è proprio in questo contesto che va vista la dura quanto squallida polemica sulle Giunte anomale e, al tempo stesso, la lotta senza esclusioni di colpi per l’appannaggio della carica di Sindaco e di assessori.

La verità è che questo ceto dirigente non può più mantenere le promesse, solenni e non, e continua ad esprimere una visione latifondistica della politica, perché è impegnato a difendere sé stesso, le regole che ne organizzano e legittimano l’esistenza e che gli assicurano immunità e privilegi.

Giovanni Pagano

“Parentesi” anno I n. 1 marzo/aprile 1989

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