L’Associazione Culturale Parentesi è stata fondata, all’inizio del 1989, a Messina, da tanti amici. Gli stessi che, uniti da comune desiderio e spinti dal bisogno di esprimere “cultura” aldilà degli stereotipi della “carta stampata” più o meno nota e sponsorizzata, hanno dato vita alla rivista sentendo l’esigenza e il gusto di una integrazione dell’informazione con l’intento, appunto, così come per inciso, in maniera elegante e soffice, viene scritto su “L’Ora” del 13/8/90 – di aprire una “parentesi” nel mondo della carta stampata non per sostituirsi ma per entrare dentro la notizia, per rivalutare, attraverso questi interventi, aspetti, personaggi, luoghi misconosciuti o a volte del tutto dimenticati, aprire dossier, attraverso indagini, motivati esclusivamente da uno spirito di servizio e di denunzia. L’Associazione, infatti, apartitica e senza fini di lucro, ha per finalità la promozione di iniziative culturali, l’organizzazione di conferenze, tavole rotonde, seminari, convegni, manifestazioni e mostre, la promozione di studi, la pubblicazione di monografie per la valorizzazione del patrimonio storico e culturale messinese. Ma da cosa nasce questo desiderio di aggregazione? Ed in che cosa consiste, poi, nella realtà? Aggregarsi di solito è facile nella economia pratica, se da ciò se ne ricava un utile, così come è stato sempre. Però c’è anche un’altra faccia della medaglia: quella vera e purtroppo sommersa, cioè quella che nasce dal bisogno di mettere assieme le proprie risorse, con lo scopo di fare quadrato intorno ad interessi ideali e non solo ludici. Questo ha voluto Parentesi all’inizio, e continua tuttora a volere, anche se il compito è estremamente difficile. La piccola editoria, infatti, è penalizzata e risente fortemente dell’emarginazione determinata dall’accaparramento, a tutti i livelli, della grossa editoria, e dell’indifferenza delle istituzioni. E allora come si sostiene Parentesi? Innanzitutto con la “passionaccia” di chi vi scrive e tra questi molti tra i più sensibili giornalisti e illustri insegnanti e vari operatori culturali, sorretti da questo modo nuovo di fare cultura, quella che si sente e che si tocca, senza condizionamento alcuno di idee. E se è vero che il quadro della democrazia di un paese si valuta soprattutto dalla libertà e dalla varietà della sua stampa, se è vero che il pluralismo ha bisogno di voci libere per essere tale, ecco perché è giusto sostenere Parentesi. Se, infatti, per caso dovessero scomparire questi valori dal mondo dell’editoria, vi sarebbe un impoverimento per tutti quelli che credono nella cultura e nella democrazia che ha bisogno di voci disinteressate, attente sì alle esigenze del progresso, ma che nello stesso tempo si riconoscano nelle tradizioni popolari. E così tra il vecchio e il nuovo, tra il presente e la speranza di un futuro migliore si muove la nostra continua ricerca speculativa, umana, esistenziale. Ed è con voce diversa, con contributi unici ed indispensabili, con occhio critico che ci muoviamo per scegliere i tempi, le qualità, lo stile valido per i nostri lettori.
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