Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretta da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

Lezione tenuta alla Facoltà di Medicina di Messina, presso l’Istituto di Parassitologia Medica, il 21 febbraio 1997

Se la medicina sia propriamente scienza…

di Trento Malatino

Intendo preliminarmente chiarire perché scelgo come titolo di questa lezione una proposizione dubitativa. Uso il modo congiuntivo perché esso indica dubbio o possibilità. Di cui l’andamento problematico di una indagine che riguardi la medicina.
Questa è empiria o scienza? La medicina nella sua storia plurimillenaria appare spesso come insidiata dall’empiria. A questo proposito anche oggi, – tempo in cui la scienza della salute è pervenuta a livelli altissimi di competenza. – di fronte agli eccessi di specialismo, ai rischi di
forme morbose dette iatrogene, derivate da un non controllabile sviluppo tecnologico nella pratica delle cure, e soprattutto per la rinuncia a valorizzare tutte le risorse organiche e psichiche di guarigione spontanea e naturale – anche oggi, ripeto, si genera un sentimento diffuso di sfiducia, che se, evidentemente, non possa e non debba indurre a un rifiuto globale della medicina attuale, fa sì che l’empiria ritorni a farsi strumento di pseudo indagine, in
appoggio alla odierna diffusione di forme esoteriche di terapie, che denotano il rifugiarsi in comportamenti magico-rituali non sempre innocui. E’ come un ritornare alle lontanissime origini magico- religiose della medicina. E l’empiria, forse, dà un contributo a questa caduta non voluto certamente a livello magico-sacrale. Esso altresì potrebbe venire dato dall’odierno anarchismo scientifico di Feyerabend.
Intanto occorre subito chiarire alcune idee sul concetto di empiria. Si tratta di un termine complesso i cui significati possono essere ricondotti, semplificando, all’etimo di base del greco antico (en-peiria, o più precisamente en-dentro e un derivato di peira, che significa pratica, esperienza). Meglio significando, in sintesi, dentro l’esperienza pratica. Ma essa, proprio perché tale, induce il sospetto di essere una pratica conoscitiva che, se rimanesse genericamente tale, non sarebbe in grado di elevarsi ad un livello gnoseologico legittimabile come scienza.
Vedremo più avanti quali possono essere i caratteri metodologici della scienza, o meglio di ogni scienza (inclusa la medicina).
A rafforzare la convinzione relativa alla non sufficienza dell’empiria, quale esperienza capace di acclarare una sua identità costitutiva effettivamente scientifica, occorre riflettere sul fatto che essa nel linguaggio corrente viene detta per indicare, il più delle volte, una conoscenza alquanto generica. Altresì in filosofia generalmente si dice empiria per significare l’esperienza non ancora elaborata dal pensiero.
Del resto si possono addurre alcuni esempi che denotano il passaggio, in certi contesti di discorso, a usi linguistici come «procedere empiricamente», «rimedi empirici», «medicina
empirica»; e a partire da questi: «medicina popolare». E ancora oggi a taluni strati popolari non ripugna di fare ricorso ad acque miracolose, a maghi guaritori, a prodigi a sfondo religioso.
A corroborare la distanza dell’empiria da ogni forma scientifica razionalmente e sperimentalmente fondata, faccio, molto sommariamente (e di ciò mi scuso) alcune esemplificazioni tratte dalla storia della medicina. Se la medicina è l’insieme delle pratiche volte alla guarigione del corpo offeso o malato (e non soltanto del corpo) per assicurare sanità e durata della vita, essa è antica quanto la ferita, la malattia e la morte.
Si può affermare che per numerosi secoli prima dell’era cristiana, fino, cioè, all’avvento, specialmente nel V secolo a-C, di una nuova mentalità filosofica naturalistica, quella dei primi filosofi, da cui si fa iniziare la storia della filosofia, la medicina era sotto l’usbergo di divinità considerate come la scaturigine delle malattie o della protezione, e quindi, per ottenere la guarigione, invocazioni di sacerdoti, pratiche magiche e, meno male, anche
rimedi empirici. In questo contesto, a partire da questi rimedi si viene accumulando un vasto numero di conoscenze disponibili per i primi tentativi di un passaggio dall’empiria alla scienza medica, senza più ricorsi a pratiche magico-religiose. Ma questi ricorsi si
ripresenteranno nei secoli successivi con l’impronta varia e diversificata delle varie epoche socio-culturali. Come pure si intensificheranno progressivamente fino ai giorni nostri i passi
anti empirici necessari al costituirsi della scienza medica. Si intrecceranno, di continuo, convergenze fra lo svolgimento della filosofia e la medicina. Idea centrale via via diventerà quella di una natura – quindi anche di ogni corpo vivente – quale organismo dotato
di una regolarità e di una legalità autonome, rispetto sia alla divinità sia all’intervento magico dell’uomo (Vegetti). Nel su accennato V secolo a.C. con lo sviluppo democratico della polis si manifestava un orizzonte culturale che consisteva nel passaggio, anche se ancora non generalizzato, dalla fantasia mitico-poietica alla riflessione razionale. Si verificava cosi la prima rottura radicale rispetto alla tradizione e, prendendo le mosse da questo contesto culturale, si cominciavano a delineare gli inizi di una medicina orientata secondo «una tecnica razionale dotata di un corpo di conoscenze, di un apparato medico, di procedure di intervento terapeutico specifiche e autonome rispetto ad altre forme di sapere» (Vegetti).
Questo fu l’atteggiamento intellettuale e pratico di Alcmeone di Crotone, del filosofo Anassagora di Clazomene e soprattutto del più famoso medico filosofo Ippocrate di Coo (460 circa -367 circa a.C.).
Frattanto, guardando alla complessità ed alle caratteristiche proprie dell’organismo biologico si definiva un metodo che consisteva in una attenta osservazione dei sintomi della malattia, che venivano interpretati con procedure di analisi e sintesi che consentivano la sua classificazione e la previsione del decorso e di eventuali variazioni. Si fissavano così i tre momenti procedurali, che saranno, per i secoli a venire, il paradigma del comportamento
conoscitivo del medico: l’anamnesi, la diagnosi, e soprattutto la prognosi che induce ad orientare l’intervento terapeutico. Ma, per così dire, l’inclinazione empirica ricompariva nel IV e nel V sec. d.C. quando, specialmente in ambiente romano, alla medicina razionale dei cosiddetti «dogmatici» si contrapponeva un indirizzo empirico legato al pensiero scettico. Tuttavia contro gli empirici energicamente continuava a rivolgersi la polemica iniziata dal maggior medico dell’antichità, da Galeno di Pergamo. Il suo pensiero, continuato dai suoi seguaci, dava rilievo al fatto che «la separazione dalla filosofia e dalla ricerca scientifica, promossa dal Museo di Alessandria, non solo faceva perdere dignità culturale e scientifica alla professione medica, ma anche rischiava di ridurre la medicina al rango di una ricerca meramente empirica, e che era inoltre minacciata dal ritorno alla superstizione e alla magia.» (Vegetti).
E in quei due secoli, IV e V., batteva alle porte il medioevo sacrale e teologico. La diffusione del cristianesimo e le invasioni barbariche determinavano per la medicina una svolta regressiva di lunga durata.
Schematicamente per non prendervi troppo tempo: 1-Valorizzazione religiosa dell’infirmitas (segno e punizione del peccato). 2- L’infirmitas come strumento per contrastarlo. 3- Preminenza della salvezza dell’anima sulla salute del corpo. 4- La fede in interventi miracolosi sul corpo malato (medicina delle reliquie). 5- S. Agostino (IV-V sec. d.C.) sosteneva che il male fisico è conseguenza del male morale. Questa affermazione implica un
presupposto metafisico-teologico e una constatazione empirica
inadeguata.
Tuttavia dal secolo XIII in poi, anche per i contatti con la cultura araba e per la rilettura di testi classici quali quelli ippocratici e di Galeno, si manifestava un risveglio laico-razionale
che culminava nel Rinascimento e sfociava nei secoli che vanno dal Seicento, -secolo della rivoluzione metodologica delle scienze, che si rendono autonome dalla metafisica e dalla teologia.- a quelli successivi nei quali, sotto la propulsione di un Galilei, di un Cartesio, di un Bacone, di un Newton, le scienze, compresa la medicina liberata dalle cadute e dalle suggestioni dell’empiria, acquistavano una consapevolezza del loro essere e del loro fare.
Ormai è entrata impetuosamente nella storia la modernità, che è caratterizzata dallo spirito di innovazione continua, che investe tutti i campi del sapere e ha come strumento un progresso tecnico e scientifico senza precedenti. La medicina in questo contesto storico fa tesoro della rivoluzione culturale e scienti fico-tecnica; «e dà incremento a un nuovo orientamento parallelo, portando a sua volta innanzi Io sviluppo delle altre scienze» (W. Pagel). Peraltro
si dia rilievo al fatto che dopo gli impulsi innovativi di Paracelso nel Rinascimento, la medicina seicentesca fa un balzo in avanti ad opera di A. Vaselio, fondatore della anatomia moderna, e di W. Harvey, per la fondamentale scoperta della circolazione del sangue.
La scienza medica, progredendo, alla fine del sec.XlX si disancora anche dai precetti galenici, scompare la figura del medico pratico, visto in modo caricaturale dal Molière, come un litigioso ciarlatano, che disquisisce in termini di patologia umorale galenica.
Ormai nel tempo di una ulteriore svolta della medicina, il medico si forma e continuerà a formarsi nel rigore della metodologia scientifica che la medicina ha assimilato traendone
grande profitto.
Rimane nella tradizione medica l’adozione dei caratteristici termini: anamnesi, diagnosi e prognosi. Non è difficile comprendere che ciascuno di essi, considerato nel suo etimo greco-antico, sta a significare una valenza raffrontabile con alcune regole fondamentali delle procedure metodologiche della scienza sperimentale moderna. Anamnesis: termine formato dal prefisso ana, che indica fra l’altro ciò che sta indietro, e dal sostantivo mnesis, ricordo, memoria. Già, conoscere è anche ricordare, e se non si tratta più della reminiscenza platonica delle idee iperuraniche, nella procedura sperimentale medica c la raccolta particolareggiata di tutti i precedenti morbosi del paziente, che possono fornire spiegazioni sulla malattia in atto. Analogamente nei procedimenti metodici degli altri saperi scientifici si dà inizio alla ricerca con una raccolta, o meglio con una accolta connettiva di dati d’esperienza paragonabili ad altri fenomeni già interpretati e legittimati. Ciò per orientare, per vicinanza, a mo’ di supporto
proiettivo, la ricerca sul complesso (corpus) dei fenomeni in atto, oggetto dell’indagine. In tal modo si garantisce l’analisi degli accadimenti di cui si ricercano le cause, che vengono intraviste e quindi rigorosamente definite con una sintesi costruttiva ed estensiva.
La conoscenza delle cause in medicina è frutto della diagnosi, in greco antico dia-gnosis uguale a dia attraverso, gnosis conoscenza: pertanto «conoscenza attraverso i sintomi». La prognosi è in greco pro-gnosis, pro prima, insieme con gnosis, conoscenza: in sintesi previsione, conoscenza in anticipo. Essa è un giudizio di previsione sul decorso e l’esito di una malattia in vista di opportuni interventi terapeutici. Perché la previsione possa essere corretta occorrono ulteriori osservazioni. Così negli altri saperi scientifici la previsione degli effetti rispetto alle cause è una proprietà essenziale nel senso che date talune cause devono
necessariamente seguire, in linea di massima, determinati effetti, salvo quando non irrompa il caso che fa mettere in discussione una consolidata teoria. E gli effetti vengono elaborati in vista di interventi tecnologici. Ad ogni modo, avviandomi alla conclusione, penso di potere affermare che la conoscenza di determinati fenomeni è scientifica quando essi si presentano con una frequenza connotabile come regolarità, che induce a scoprire la causa. E non si può non affermare che essa, non rimanendo coperta, è il risultato del provare, potenzialmente, da parte di tutti, e non di un singolo ricercatore. Esistono principalmente due metodi di ricerca scientifica, di cui si ha una giustificazione razionale operativa nell’atto dell’interpretazione di fenomeni e fatti per scoprire le leggi che li governano. Essi sono il metodo induttivo-sperimentale (da sottolineare l’aggettivo sperimentale) e il metodo ipotetico-deduttivo a cui non deve ripugnare la verifica sperimentale. Queste vie procedurali, rigorosamente seguite, devono assicurare l’oggettività e la sistematicità della conoscenza scientifica. Si deve a Kant raffermazione che conoscere è giudicare: quindi i giudizi che si formano attraverso quelle metodiche sono oggettivi in quanto universali e necessari. Li chiama «giudizi d’esperienza» e li distingue dai «giudizi percettivi o empirici», privi di universalità e necessità, e quindi non oggettivi, che restano nel limbo di una raccolta di semplici dati sensibili non elaborati dal pensiero che si costituisce come pensiero scientifico. Per Kant esperienza non è uguale ad empiria.
Torna così la nostra precedente riflessione sul dualismo empiria e scienza e siamo sicuri di avere mostrato che la medicina è scienza, ma aggiungiamo non una scienza al singolare, bensì un ambito scientifico pluridisciplinare nel quale ogni disciplina scientifica si connette alle altre non in modo eclettico, sebbene in una interconnessione inter relazionale giustificata e orientata per così dire, da quella stella polare che è la salute e l’integrità dell’organismo corporeo e psichico.
A chiusura del mio dire voglio rilevare un’immagine simbolica tratta dal mondo vegetale: la medicina è un grande albero dalle molte radici, dai molti rami e dalle innumerevoli foglie. La sua forza intrinseca unificante e la vita. Ai suoi piedi si stende un’ombra, l’ombra dell’empiria Si chiede di non scambiare l’ombra con l’albero.
Messina. 21 febbraio 1997
Trento Malatino
Lezione tenuta alla Facoltà di Medicina di Messina, presso
l’Istituto di Parassitologia Medica, il 21 febbraio 1997

Pubblicato sul n.32 Sett./Ott. 1997 da “Parentesi”  1997

Biografia del Prof. Trento Malatino

Insigne intellettuale di Francavilla di Sicilia, docente di Filosofia e Storia al Liceo “La Farina” di Messina, è deceduto nei giorni scorsi all’età di novantasette anni. Resta la sua grande “lezione” di libertà, apertura al dialogo ed umanità

     Pur provenendo da una famiglia artigiana della “remota” Valle dell’Alcantara, Trento Malatino è riuscito ad imporsi come un “faro” nell’ambiente culturale messinese, al pari dei suoi illustri amici Salvatore Pugliatti (insigne giurista e Rettore dell’Università) ed Antonio Saitta (poeta ed operatore culturale) che era solito frequentare nei locali della Libreria “O.S.P.E.”  di Piazza Cairoli (sede della mitica “Accademia della Scocca”, autentica fucina dell’“intellighenzia” siciliana). Questo eccelso intellettuale nativo di Francavilla di Sicilia, che educò intere generazioni insegnando Filosofia e Storia al prestigioso Liceo Classico “G. La Farina” di Messina, è venuto a mancare nei giorni scorsi alla veneranda età di 97 anni.

Ciò che lo contraddistingueva era il suo innovativo metodo d’insegnamento tutt’altro che cattedratico, con interrogazioni non limitate ad un singolo argomento, bensì spazianti su tutti quelli che potevano essere gli interessi dello studente, al di là dei contenuti della “lezione del giorno”.

Malatino, intellettuale socialista di formazione marxista, era democraticamente aperto alle altre aree politico-ideologiche, convinto del fatto che la società potesse ricevere benefici da ognuna di esse (come dimostra, tra l’altro, la sua partecipazione alle “Settimane Teologiche” presso la Camera di Commercio di Messina).

Tante, al momento della sua scomparsa, le testimonianze di stima ed affetto manifestate da suoi ex allievi fattisi onore nella vita come parlamentari, operatori culturali e stimati professionisti grazie anche ai suoi illuminati insegnamenti, improntati ad un pensiero autonomo e critico, ma pur sempre rispettoso dei principi di tolleranza e libertà.

E con i suoi ex alunni il professor Malatino amava incontrarsi spesso, a differenza della maggior parte dei docenti che, una volta concluso il ciclo scolastico, si disinteressano completamente dei destini dei loro allievi.

Un insegnante, dunque, in grado di dispensare cultura, ma pure umanità, grazie anche alla sensibilità da lui personalmente maturata nella “crudele” Campagna di Russia, dove venne inviato come ufficiale nel 1942 per combattere una guerra da lui definita “incomprensibile”. «Mi sentivo un invasore –  ebbe a dichiarare in un’intervista di alcuni anni addietro – e, come tale, non ho mai sparato contro un russo». Lui, invece, venne ferito in combattimento durante il compimento di un’azione considerata eroica e che, come tale, gli meritò la Croce di Guerra al Valor Militare.

Prima di approdare al “La Farina” di Messina, Malatino insegnò in diversi istituti di Roma; e negli esclusivissimi ambienti culturali della Capitale ben s’integrò facendosi apprezzare quanto a profondità di pensiero e doti umane.

Diceva sempre che l’insegnamento era la sua “opzione fondamentale”, ma da questa attività seppe anche cogliere spunti per approfondite ricerche, sfociate in pubblicazioni quali “Ragione ed Antiintellettualismo”, “Universalità e storicità dei valori”, “Dimenticare Marx?”, “Utopia e storia nel pensiero e nell’azione di Mao Tse Tung”, “Freud prima di Freud”, “Spunti di una concezione dialettica nella logica del pensiero spinoziano”, “Profilo della filosofia italiana contemporanea”, ecc.: un docente di Filosofia, dunque, che, elaborando delle proprie originali riflessioni, assurgeva lui stesso a filosofo.

Malgrado l’intensa e gratificante attività intellettuale nella Città dello Stretto, Trento Malatino non ha mai reciso il cordone ombelicale che lo legava alla sua Francavilla di Sicilia, dove amava trascorrere ogni anno le ferie estive intrattenendosi col fratello Salvatore, compianto parrucchiere per signora, e con gli amici d’infanzia come un “compaesano qualunque”, senza per nulla far “pesare” la sua immensa cultura. E le sue spoglie, dopo il funerale celebrato nella Cattedrale di Messina, hanno fatto ritorno al paese natio per trovare sepoltura nel locale cimitero di contrada Cappuccini.

( Da “DETTAGLIO NOTIZIE del 25/3/212

Rodolfo Amodeo

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