Editoriale di Filippo Briguglio
Repubblica atto primo, Repubblica atto secondo. Difficile datare con esattezza i confini temporali di queste due fasi di una commedia italiana che sembra non aver fine; ancor di più se si osserva che, tra le varie accezioni lessicali del termine “repubblica”, ve n’è una che lo interpreta come “stato di disordine e di confusione, mancanza di una linea di condotta unitaria e regolare”.
Già: perché se è vero che “chi ben comincia è alla metà dell’opera”, non sembra affatto, almeno finora, che l’opera sia cominciata bene.
Difatti, la tanto attesa seconda Repubblica – anche se forse è ancora prematuro definirla tale – acclamata e annunciata a gran voce dai voltagabbana dei vari partiti, tarda a decollare e, in siffatto clima e con simili premesse, viene spontaneo chiedersi se mai lo farà.
Ciò che più colpisce nel clima rovente di questa estate, offuscato non solo dai riverberi della calura, non sono esclusivamente le vicende politiche e gli avvenimenti che quotidianamente si snodano sotto i nostri occhi, bensì la logica che li sottende, o meglio il processo di cui sono diretta conseguenza, sul quale vale la pena soffermarsi a riflettere.
Infatti il nuovo, per essere tale, deve contrapporsi al vecchio, a quel vecchio che, nelle vicende di cui stiamo trattando, dovrebbe appartenere ad un passato recente.
Ma se al “nuovo”, invece, si fa corrispondere l’idea della sostituzione di ogni persona che detenga un incarico direttivo o un ruolo politico – in ogni luogo del Paese – con un’altra persona, allora noi riteniamo che questo non sia il “nuovo” sperato ed atteso.
Dov’è la novità in questa storia italiana, ormai al limite tra farsa e tragedia? I segnali che giungono non sembrano rassicuranti. Sinora abbiamo assistito a un ricambio puramente fisiologico; sulla scena politica della nostra Italietta sono cambiati gli attori: volti sconosciuti si sono aggiunti a quelli ben noti dei politici che sono riusciti a riciclarsi, eppure la sostanza è sempre la stessa. Non è possibile scorgere alcuna traccia di innovazione nei proclami demagogici, nell’agitare lo spauracchio di eventuali crisi di governo, nei fatti e misfatti di natura politica dove colpevolisti e innocentisti, corruttori e corrotti, continuano a confondersi tra loro.
È giusto sostenere che il nostro paese sia andato in rovina esclusivamente a causa di tangentopoli? La distribuzione di mazzette e la distrazione di denaro pubblico non costituiscono l’unico atto di sottrazione illecita perpetrato dagli esponenti politici. Naturalmente, ben vengano in tal senso le sanzioni inflitte ai vari De Lorenzo, Di Donato, Poggiolini – tanto per citare alcuni tra i più noti – senza dimenticare Astone, Capria, Nicolosi, Andò e altri pesci più piccoli.
Tuttavia, il furto più grave e devastante, al quale è dunque più difficile rimediare, è stato quello di defraudare gli italiani della fiducia nella coscienza civile, facendo scempio dei principi morali su cui essa si fondava prima che venisse completamente stravolto un sistema di valori condiviso, annullando i confini tra onestà e corruzione, tra legalità e illegalità.
Tutto, dunque, appare scontato in questo meccanismo perverso dove i furbi, grazie ai loro “santi in paradiso”, hanno fatto la parte del leone. E adesso ciò che ci chiediamo è: chi rimedierà allo sfacelo causato da coloro che hanno usato la propria posizione, raggiunta per “diritto acquisito”, beneficiando di una logica di selezione professionale distorta? I corruttori in galera nel nostro paese divenuto giustizialista, forse? E cosa ne facciamo di tutti quei personaggi corrotti, grandi e piccoli, non meno responsabili del disastro italiano, che tuttora occupano posti di comando?
Tante cose devono cambiare, soprattutto la mentalità.
La ditta Berlusconi & Co. tenga presente che il paese si governa in maniera concreta: i guizzi di fantasia (dei quali peraltro cominciamo a stufarci) che si sono forse rivelati utili a conquistare consensi, non bastano più. Probabilmente, per tutti coloro che hanno voluto interpretarli come una risposta al proprio bisogno di cambiamento, quegli slanci hanno costituito un invito a firmare una cambiale in bianco, per poter ancora credere e sperare. Ovviamente, non sono sufficienti: ci aspettiamo che quelle “magiche frasi ad effetto”, pronunciate in fase elettorale dall’imprenditore-politico (legge Mammì docet) che si è trasformato in politico-imprenditore, siano finalmente seguite dai fatti.
È il momento di mettere in atto, senza più indugio, quelle idee risolutive che alla maggior parte degli italiani sono parse come una panacea per tutti i mali.
Non ritengo sia sintomo di qualunquismo riflettere ulteriormente su alcuni aspetti del cosiddetto “nuovo” che non sembrano corrispondere ad alcun cambiamento reale. Solo per fornire degli esempi concreti ricordiamo la questione del rimborso della tassa sul medico di famiglia – una sorta di telenovela – saltata fuori alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo e che, subito dopo, ha iniziato a oscillare miseramente tra incertezze e contraddizioni; il decreto Biondi, maldestro e arrogante espediente salva-amici; il patteggiamento fiscale, utile ai soliti noti, successivamente bocciato; la separazione di Berlusconi dalla Fininvest, questione tutta da verificare.
Stando così le cose, se Berlusconi sia sceso in campo alla guida di un comitato d’affari esclusivamente per assicurarsi i referenti indispensabili per la sua politica, o se sia davvero l’uomo della provvidenza, è una domanda che troverà ben presto una risposta.
Filippo Briguglio
“Parentesi” Anno VI, n.26 Luglio – agosto 1994