L’Italia va a destra: questa la volontà degli italiani, emersa in maniera chiara e inequivocabile dai risultati delle elezioni del 27 e 28 marzo, che hanno indubbiamente trasformato radicalmente lo scenario politico italiano.
Un’inversione di tendenza insita nello spirito stesso della democrazia – secondo il socialista Michel Rocard – che prima delle elezioni, forse anche per scaramanzia, in un articolo apparso su “La Repubblica” aveva dichiarato: «in tutte le grandi democrazie occidentali, sinistra e destra si danno il cambio, così legittimando l’avversario».
Una svolta a destra, quella segnata dalle ultime elezioni, ma pur sempre una svolta. A prescindere dall’ideologia politica, credo che questo sia un preciso segnale attraverso il quale il popolo italiano ha espresso unanimemente il proprio bisogno di cambiamento.
Perché una cosa è certa: la classe politica, dato lo stato in cui si era ridotta e, fatto ancor più grave, la condizione in cui aveva ridotto lo Stato, andava rimossa, e al più presto.
Senza voler entrare nel merito delle scelte degli elettori, è fuori da ogni dubbio che per un popolo stanco e sfiduciato avvertire la sensazione che esista uno schieramento capace di recepire e tradurre il proprio desiderio di rinnovamento costituisca un elemento determinante. La sinistra ha sottovalutato l’avversario ma, soprattutto, è stata penalizzata dalla carenza di determinazione, dalla scarsa credibilità e dalla mancanza di una strategia vincente in grado di soddisfare le aspettative dell’elettorato. Berlusconi, al contrario, è riuscito a convincere la maggioranza degli elettori, mostrandosi disponibile a prestare ascolto alle richieste del popolo italiano e pronto a proporre soluzioni.
Personalmente ho votato progressista e, se tornassi indietro, lo rifarei. Tuttavia, seppur contrariato per l’insuccesso dei “progressisti”, l’esito delle elezioni non mi ha sorpreso.
Si tratta di risultati quasi annunciati, conseguiti attraverso quella che è parsa un’operazione di marketing ben studiata piuttosto che una tradizionale campagna elettorale: un “bombardamento” pubblicitario, con un flusso di ritorno stimato almeno intorno al 30% (1), nel quale la possibilità di controllare parole e immagini (2) ha fatto la parte del leone. Al centro di questa operazione, un imprenditore che è stato così “abile” da creare un impero nell’arco di dieci anni e che, in un susseguirsi incalzante di discorsi alla nazione, ha promesso di cambiare l’Italia. Berlusconi ha blandito gli elettori – compresi i più giovani, considerati i voti per i rappresentanti della Camera – prospettando loro lo scenario di un possibile new deal basato sulla realizzazione del benessere collettivo, conseguito grazie alla sua illuminata leadership con interventi mirati sui punti nodali: lavoro (un milione di posti) e tasse (poche e per tutti, evasori inclusi)… Un personaggio simile, un manager che, dopo aver costruito da sé la propria fortuna, ha puntato tutto sulla propria immagine mediatica di “uomo nuovo” non poteva non avere la meglio, almeno al primo impatto. Poco è importato che fosse sceso in campo alla guida di un “comitato d’affari” principalmente per assicurarsi i referenti indispensabili per la sua politica imprenditoriale e che, oltretutto, tra i suoi “scheletri nell’armadio” contasse (ex?) amici come Craxi.
Che poi Berlusconi sia davvero “l’uomo della provvidenza”, che possa realmente garantire in tutti i campi quel pluralismo vitale per la democrazia, che riesca ad affrancare le istituzioni e gli incarichi in esse ricoperti da qualsiasi logica di potere, che sia seriamente in grado di formare un governo costituito da politici capaci di restituire dignità alle istituzioni, è tutto da vedere. D’altra parte, cosa sia esattamente questo “Polo delle Libertà”, nato dall’unione di formazioni dalle ideologie contrastanti accomunate esclusivamente dalla stessa fame di voti – peraltro appagata – e se esso sia all’altezza delle aspettative degli italiani, sono domande alle quali solo il corso dei futuri eventi potrà dare risposta.
Dal mio punto di vista, quello di un progressista, è tuttavia possibile riscontrare un importante aspetto positivo: il desiderio di cambiamento del popolo italiano, a prescindere dalle scelte concrete attraverso le quali esso si sia espresso, ha quanto meno spazzato via gli ultimi superstiti di una classe politica arraffona e arrogante, fatta eccezione per quei politici (pochi per fortuna) che sono riusciti a riciclarsi, il cui unico merito è quello di essersi opportunamente schierati dalla parte vincente.
E se questa operazione è riuscita finanche a Messina, patria di politici, ministri e sottosegretari che qui avevano radicato il proprio potere, città fisiologicamente restia ad accogliere il nuovo e il bello – se, dunque – persino la nostra città sembra aver riscoperto la propria vocazione liberal-conservatrice rimasta così a lungo latente, allora possiamo affermare che una nuova era è iniziata.
Staremo a vedere, anche nella prospettiva della tornata elettorale di giugno, dove ci condurrà questo nuovo corso: «[…] aspetta e spera che già l’ora si avvicina!» recitava il testo di una vecchia canzone (ogni allusione è puramente casuale).
Filippo Briguglio
“Parentesi” Anno VI, n.24 – Marzo – aprile 1994