L’On. Avv. Armando Cascio, ex leader storico dei socialisti autonomisti messinesi.In questo incontro-intervista, egli ci racconta come sia passato dagli entusiasmi degli anni ’60 che lo videro protagonista della svolta positiva del PSI nella provincia peloritana, alla scelta fatta dieci anni orsono di abbandonare la scena politica ritornando all’attività forense trasferendosi nel capoluogo lombardo
di Filippo Briguglio
Armando Cascio, nato a Fiumedinisi il 10 ottobre 1920, ha conseguito nel 1942 la laurea in Giurisprudenza. Sottotenente di Complemento, ha partecipato alla seconda guerra mondiale ed è stato deportato nei campi di prigionia tedeschi in Polonia ed in Germania. Rientrato in Italia nel 1945, esercita dal 1946 la professione di avvocato. Leader storico dei socialisti autonomisti messinesi.
In questo incontro ci racconta come sia passato dall’entusiasmo degli anni ’60, che lo videro protagonista della svolta positiva del suo partito nella provincia peloritana alla scelta, fatta nel 1984 di abbandonare la scena politica e di trasferirsi nel capoluogo lombardo, ritornando all’attività forense.
Da dieci anni vive e lavora a Milano dove è titolare di un avviato studio legale nel centro della città, con il quale collabora da qualche tempo la figlia minore, che lo ha seguito nella scelta della professione forense. Settantatre anni ben portati, di cui poco meno di quaranta dedicati alla politica attiva nelle file del PSI, prima come vice sindaco di Alì Terme e poi come sindaco di Itala. Deputato al Parlamento per due legislature, la V della Repubblica italiana e la VI (25.05.1972 – 04.07.1976), le cui elezioni si tennero di domenica, il 7 maggio 1972, e durante la quale fu segretario nella commissione parlamentare per il parere al governo sulle norme delegate relative alla riforma tributaria dal 2 agosto 1972 al 23 settembre 1974 (proclamato il 20 maggio 1972 , con convalida del 13 ottobre 1972). Eletto nella circoscrizione di Catania con il sistema proporzionale (1946 – 1992)1. Il mandato ebbe termine il 25 settembre 1974 con le dimissioni per incompatibilità (venne sostituito da Salvatore Miceli); quest’ultima esperienza fu interrotta perché venne chiamato a ricoprire prima l’incarico di consigliere e successivamente quello di vicepresidente della Cassa Centrale di Risparmio V. E. per le province siciliane, uno dei due maggiori poli bancari del credito in Sicilia.
Armando Cascio si ritirò volontariamente dalla scena politica quando si rese conto che erano mutate totalmente le condizioni del sistema, che determinavano di fatto una perdita di senso nel suo modo di interpretare la politica stessa.
Egli voleva continuare ad essere l’uomo libero di sempre, nel pensiero e nell’azione. Anche se, alla resa dei conti, questo suo voler essere uomo aperto, che diceva pane al pane e vino al vino finì per costituire, come ebbe a dire, il suo unico torto, che alla lunga gli ha procurato “più inimicizie che amicizie”.
E di amici trasformatisi in avversari politici, così come di eventi che l’hanno visto protagonista, Cascio ne ha conosciuti molti. A cominciare da quando dopo aver organizzato, negli anni 1957 – 59, la corrente minoritaria autonomista Nenni – Mancini, ne divenne il leader, continuando a rivestire questo ruolo, pur se contrastato, per molti anni, convinto assertore dell’autonomia del suo partito e di un socialismo progressista e democratico in considerazione del quale ogni limite alla libertà di opinione è intollerabile.
Risale a questo periodo (siamo alla fine del 1950) la conoscenza con Nicola Capria (ex ministro), allora giovane procuratore legale (con l’avvento dei politici “eccellenti” prodotti in seguito dalla città di Messina, è oggi plurindagato – N.d.R.). Nel corso di una riunione di partito durante la quale «Capria fu l’unico ad appoggiare la mia tesi» ricorda Cascio «adducendo argomentazioni che rivelavano un’ampia visione ed un’approfondita conoscenza dell’intero quadro politico del partito socialista. Ebbi occasione, in seguito, di incontrarlo una mattina nei corridoi del Tribunale di Messina e, poiché ero rimasto favorevolmente impressionato da quel giovane così brillante nel corso del nostro incontro durante quella riunione, scambiammo altre idee e, quindi, gli proposi, se lo desiderava, di venire a esercitare le sue mansioni di procuratore legale, che sino a quel momento svolgeva presso l’avv. Vittorio Terranova, nel mio studio. Capria accettò di buon grado e iniziò una collaborazione protrattasi per dieci anni circa, durante i quali anche altri compagni socialisti, tra cui Pompeo Oliva (attuale vice presidente della Sicilcassa Spa – N.d.R.) e Sandro Arena, si aggregarono al mio studio. In seguito le divergenze di vedute, che si andarono via via manifestando col passare del tempo, rispetto alla mia impostazione politica, crearono una spaccatura tale tra me e questo gruppo da indurmi a interrompere qualsiasi forma di collaborazione con tutti loro. Da quel momento, Capria in testa, si formò un gruppo politico avverso al mio».
Ciò tuttavia non impedì a Cascio di ottenere buoni riconoscimenti.
Nel 1964 fu chiamato a far parte della reggenza della Federazione PSI di Messina, della quale, nell’ottobre 1965, fu nominato segretario (incarico dal quale si dimetterà per candidarsi alle elezioni politiche del 1968) e, in seguito, membro del Comitato Centrale.
Quegli anni (1964 – 1968) furono decisivi per lui sul piano politico.
Era un momento difficile: dopo la scissione del PSI e la costituzione nel PSIUP bisognava colmare i vuoti provocati dalla spaccatura e ricucire gli strappi. E Cascio assolse il suo compito di segretario della Federazione PSI conseguendo risultati brillanti e lusinghieri sia in campo regionale, nel quale nelle elezioni del 1967 i socialisti ottennero nella provincia di Messina la più alta percentuale di voti rispetto alle altre province, sia in ambito provinciale in cui, quando lasciò l’incarico di segretario per la candidatura elettorale, in quasi tutti i comuni e i villaggi erano nel frattempo state costituite sezioni PSI.
A beneficiarne alle consultazioni regionali furono appunto Nicola Capria che fu eletto deputato assieme a Santi Recupero.
Traguardi da questi ultimi raggiunti, principalmente grazie alla sua linea politica caratterizzata da quelle doti di equilibrio, correttezza e soprattutto coerenza che di Cascio, ne fece anche in seguito, un apprezzato dirigente. Doti che egli somatizzò e sviluppò riallacciandosi nei fatti e nelle idee alle tradizioni della sua famiglia di origine: madre, due sorelle e il padre Carmelo, titolare di un’avviata sartoria nel paese natale – Fiumedinisi, centro collinare del messinese – noto antifascista del suo tempo e in seguito militante comunista, il quale, anche se innocente scontò con il carcere, per ben due volte, la fede nelle sue idee politiche.
«La prima volta nel 1933» ricorda Armando Cascio «mio padre fu arrestato insieme ad altri compagni quando fu loro attribuito il taglio di un albero piantato per Arnaldo Mussolini nella piazza di Fiumedinisi; che solo più tardi si seppe essere stato tagliato da un nostro cugino, omonimo, allora insospettabile per l’incarico che ricopriva di segretario del Questore di Udine.
La seconda volta fu nel 1941 con l’accusa di aver collocato, insieme ad altri, delle bombe sulle rotaie del treno mentre, in seguito, ne fu attribuita la paternità a reparti specializzati di sottomarini inglesi».
Ma anche Armando pagherà la fede nelle idee politiche con la prigionia quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, verrà deportato nei lager nazisti destinati agli ufficiali italiani non aderenti alla repubblica fascista di Salò, e vi resterà ininterrottamente sino al momento della liberazione, nell’aprile 1945.
La famiglia, molto unita, fu sempre importante per Cascio e fu per lui un valido sostegno come lo sarà, in seguito nel corso della sua carriera politica e professionale, anche la moglie Maria, silenziosamente onnipresente al suo fianco, solido punto di riferimento e di confronto.
Di lui scriverà la sorella Anna, nel suo libro Nata femmina (segnalato dalla giuria, presieduta da Natalia Ginzburg, come una delle prime tre opere selezionate tra le sessantuno presentate alla Sezione Inedito del terzo premio letterario Noi donne, in Roma – N.d.R.): «Mio fratello era il primo figlio e, cosa molto importante, era maschio, da adulto avrebbe dato lustro e onore alla famiglia».
E già, l’istruzione voluta per lui: «Mio fratello frequentava il ginnasio» continua la Cascio con affettuosa ammirazione, seppure con rassegnato rimpianto per una analoga sorte negatale in quanto “femmina” «e si era trasferito a Messina dove abitava in casa dei cugini. Mio padre volle che mio fratello frequentasse la scuola vivendo in città, però pretendeva che egli attendesse allo studio con impegno. Infatti, il risultato fu sempre soddisfacente: il 6 ottobre 1942, alle ore 11,27 Armando ha conseguito la laurea in giurisprudenza».
La frequentazione di personaggi noti nella Messina degli anni ’40 (tra cui l’avvocato Melchiorre Gugliotta, noto penalista del tempo, e il cugino Stefano Bottari, docente universitario) e, ancora prima, l’educazione e la dirittura morale assorbite in famiglia furono, indubbiamente, terreno fertile sul quale, negli anni, Armando Cascio temprerà quelle qualità di rettitudine, onestà ed integrità che ne caratterizzeranno l’indole sia nell’esercizio della professione forense sia nella vita politica. “L’avvocato Cascio” riferisce la nota biografica pubblicata dalla Gazzetta del Sud nel maggio del 1968, in occasione dell’imminente tornata elettorale di quell’anno “era già noto negli ambienti forensi per la sua preparazione e per la sua disponibilità nei casi in cui la soddisfazione che poteva dare l’umana solidarietà nel dolore degli altri costituiva l’unica parcella da riscuotere”.
E più tardi, quando nel marzo 1980 egli, già vicepresidente della Cassa centrale di Risparmio V. E. per le province siciliane si trovò, giocoforza, imputato e coinvolto nell’ondata di arresti disposta per tutti i presidenti, vicepresidenti e direttori generali delle Casse di Risparmio conseguente allo scandalo Italcasse, fu unanime la convinzione dell’infondatezza delle accuse che determinò un’attestazione di solidarietà e stima. Attestazione che gli venne non solo dai suoi compagni di partito, ma da quanti avevano avuto modo di apprezzarne le qualità morali e professionali (l’Istituto centrale delle Casse di Risparmio erogò centinaia di miliardi a imprenditori che non offrivano adeguate garanzie sulla base di rapporti clientelari e pressioni politiche, N.d.R.). Tanti furono gli amici e conoscenti che diedero testimonianza del “suo galantomismo, della sua dirittura morale, del suo carattere adamantino”.
E insieme a simili attestazioni vi furono anche critiche, come del resto è ovvio che sia, quando si ricoprono importanti incarichi. Egli adempì il suo lungo mandato (consigliere dal 1964 al 1968, vicepresidente e presidente vicario dal 1974 al 1984) alla Cassa centrale di Risparmio in un periodo in cui, per via della longa manus dei partiti che tendeva ad influenzare la conduzione delle cariche affidate in seguito a precise logiche di spartizione, diveniva estremamente difficoltoso riuscire a mantenere intatta la propria autonomia di azione e di pensiero, sottraendosi ai giochi del potere politico.
Scrive Cascio: «…Nonostante i miei tentativi non sono mai riuscito a fare accettare di buon grado il mio vicariato, durante il quale, tra l’altro, anche dal punto di vista economico, si era ben lontani dai compensi plurimilionarii a nove cifre che annualmente percepiscono, oggi, Presidente e Vicepresidente.
Certo ritengo di aver condotto delle buone battaglie, all’insegna di una equità che ho sempre cercato di difendere fin dove mi era possibile ed anche di aver conseguito dei buoni risultati (come, ad esempio, la creazione del fondo integrativo pensioni e la nomina per concorso e non per libera scelta del consiglio dei Dirigenti), ma è pure vero, e ne sono perfettamente consapevole, che, nonostante i miei principi, ho commesso anche delle grosse ingiustizie, che mi sono pesate soprattutto quando ne sono state vittime persone meritevoli che personalmente stimavo molto, sia sul piano prettamente professionale, sia su quello umano, allorquando purtroppo, mi rendevo conto di non poter sempre fare il bastian contrario della situazione».
Rimpianti, dunque?
«No, certo» sostiene convinto Cascio «anche perché, quando ho visto che non c’erano più i presupposti per continuare una lotta politica secondo la mia logica me ne sono andato».
Così come non vi è nostalgia nel rammentare gli anni vissuti da deputato al Parlamento, durante i quali assolse svariati incarichi (tra cui, per citarne alcuni, quello di gettare le basi per lo sviluppo dei rapporti commerciali e per la cooperazione industriale tra Italia e Bulgaria, concretizzatosi con buon successo; o l’invito a far parte della commissione finanze e tesoro, o, ancora, l’incarico di segretario della commissione dei trenta per la riforma tributaria).
E le impressioni sui personaggi di quel periodo?
«Ricordo i grandi del socialismo, Nenni, Pertini il cui carisma era indiscutibile pur nella semplicità dei modi. E Giacomo Mancini col quale, allora, stabilii cordiali rapporti di reciproca stima. E Bettino Craxi, che sedeva accanto a me per via del cognome (Cascio, Craxi), del quale mi colpì che, pur stando vicino, non parlò mai a me messinese, delle sue origini messinesi che io appresi per altra via. Così come pure rammento la sua alterigia, lui segretario nazionale del PSI, nel gestire i rapporti con i segretari delle Federazioni periferiche e la sua assoluta indifferenza per i loro problemi. A tale proposito mi è sempre rimasto impresso ciò che mi disse quando nel 1976, in vista del 40° Congresso PSI, volli incontrarlo per parlargli della gravità di ciò che stava succedendo all’intero della Federazione di Messina, mi rispose: “Ho deciso che i problemi delle Federazioni li risolvano le stesse Federazioni”».
Ma Armando Cascio ricorda anche altri piacevoli importanti incontri, tra i quali cita quello con Renato Guttuso, cui si accompagnò in varie circostanze, e quello con Ciampi:
«Durante il mio vicariato alla Cassa di Risparmio, ho conosciuto l’attuale presidente del Consiglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia cui periodicamente ero chiamato a riferire nella mia qualità di capo dell’importante istituto bancario siciliano, e sul quale concordo in pieno con l’affermazione di Trentin, segretario della CISL, pubblicata dal Corriere della Sera il 15 ottobre di quest’anno che ha definito Ciampi “uno dei migliori presidenti del consiglio che vi siano stati”, così come Massimo D’Alema, vice segretario PDS, che ha definito il governo Ciampi “una positiva svolta”».
Tra ricordi e riflessioni, il nostro incontro con Armando Cascio finisce qui. Un’ultima domanda viene, però, spontanea. Perché ha scelto, lui messinese figlio di messinesi, di trasferirsi a Milano e di ricominciare? È stato dunque il “gran rifiuto” di sporcarsi le mani, il fattore decisivo di un radicale cambiamento di vita in un’età non più giovane?
«La mia scelta non è stata assolutamente né una fuga, né volere cancellare una buona parte della mia vita che, comunque, mi ha dato anche delle belle soddisfazioni. Né ho dato un taglio al passato, considerato che, molto spesso, vengo a Messina. Città che mi è molto cara nonostante l’escalation di abbandono e l’immobilismo nel quale la trovo precipitare sempre di più da dieci anni a questa parte, ogni volta che vi ritorno.
Forse perché la gente, o perché nonostante tutto disinformata o informata male e non sufficientemente, o perché non si è realmente resa conto della gravità della situazione, ritiene ancora che si possa continuare in quell’apparente benessere che, ad esempio, induce i giovani a sperare di poter continuare a trovare occupazione negli enti pubblici anche tramite imprecisate cooperative che danno magri stipendi (utilizzando semplici manifestazioni come ad esempio quella che ho visto attuare dai terminalisti del municipio nei locali comunali) e gli amministratori cittadini a continuare a gestire i servizi pubblici (quello degli autobus, ad esempio, ne è dimostrazione) all’insegna dello spreco, della disorganizzazione e quindi dell’inefficienza nonostante l’impiego di mezzi tuttavia male utilizzati2.
Ritornando alle ragioni della scelta del mio “esilio” a Milano, semplicemente ho preso atto che – come disse Charles Maurras – bisogna aspettarsi di tutto in politica, dove tutto è permesso, fuorché lasciarsi cogliere di sorpresa».
di Filippo Briguglio
“Parentesi” Anno V n.23 – Novembre/Dicembre 1993
(2490)