L’INCONSCIO COME QUADRI INFINITI
di Enrico Giannetto
a sinistra Ranieri Wanderlinghin ( foto di Michele Lotta) a destra un suo Olio su tela cm.80×90 “Coppia con cuore”,1991
Dal 22 dicembre ’91 fino al 22 febbraio, le “Pitture” di Ranieri
Wanderlingh sono rimaste esposte presso l’albergo-museo” ‘Atelier sul mare ‘ della Fiumara d’Arte a Castel di Tusa. Il trentunenne artista messinese, pittore e scultore, impegnato da sempre anche nell’artigianato. – la sua prima mostra risale all’82 -, si presenta qui con una ricca selezione di opere che mostrano tutto un’iter di ricerca giunta ormai, certamente, a prove di una originale compiutezza e maturità. Già nel ’90 una sua esposizione era stata allestita in Canada, a Montreal, e nel ’91 è approdato alla “Pyramid Gallery” di New York.
La pittura di Wanderlingh ha attraversato varie fasi, che, come hanno
messo in evidenza precedentemente vari critici, hanno legami con il cubismo, con il surrealismo, con l’astrattismo e poi con un neo-figurativismo: da questo punto di vista, ovvero dal confronto con la tradizione codificata dalla critica, la sua opera si pone in quel contesto di ricerca, comune oggi alla maggioranza di pittori, in cui si tenta di superare un certo “impasse” dell’astrattismo, di compiere cioè – come recita anche il titolo di una sua mostra – un “viaggio oltre l’astratto’. L’originalità della sua cifra stilistica è stata identificata recentemente in quello che si può definire una sorta di neo-espressionismo psicologico’‘, soprattutto per la “violenta” intensità del gesto pittorico, dell’uso “non-armonizzante”, “a-tonale” – si potrebbe dire con una metafora musicale -, dei colori.
Questo tipo di lettura coglie certamente degli elementi presenti nei dipinti di Wanderlingh, ma vorrei qui esplorare una differente prospettiva.
Mi sembra, infatti, che l’attuale situazione generale “d’impasse” attribuita oggi all’arte (pittorica, in particolare), sia innanzitutto propria della riflessione critica: si creano sempre nuove “etichette”, nuovi “ismi” per inquadrare, ancora da un punto di vista soggettivistico, l’arte come “techne”, ovvero come prodotto di una intenzionalità di un soggetto, eventualmente collettivo, di un certo gruppo umano; ovvero ancora c me continuazione (simulativa) di un rito attraverso il quale si riafferma, per narcisismo della nostra specie, il nostro possesso della natura nella mimesi dell’immagine (pittorica), rinnovando il sacrificio della “physis” sull'”altare” – scena delle “immagini del mondo”. Tale “grande paradigma” soggettivistico, a mio avviso, non tiene più: invero, non è più possibile spiegare gli effetti cui giunge l’arte, la pittura contemporanea, – questi e non altri, come nel caso di Wanderlingh- a partire dalla metafisica compositiva, figurativa o astratta che sia, di un soggetto. C’è una “fisica” intrinseca della pittura che riemerge nella riscoperta dell’artista che nega con la fisicità delle sue opere la metafisica dello sguardo e della visione: nella pittura è un mondo che si manifesta, è una “physis” che si manifesta al di là dell’ego-centrismo del soggetto (si pensi a “Fisica e Metafisica”, composizione di Wanderlingh del 1984).
La pittura non come immagine, ma come mondo; non come “techne’
ma come “physis”. Il mondo che si dà nei quadri di Wanderlingh è quello indeterminato dell’inconscio, non quello mediato da un soggetto; quello dell’”es”, non quello dell’io.
“Viva l’Italia” del 1990, e “Il Muro” del 1991, nella diversità dei mezzi usati (olio il primo, acrilico il secondo), sono entrambi pezzi esemplari non già meramente classificabili nelle categorie estetiche di un “astrattismo figurativo” o di un “figurativismo astratto”, ma che mostrano perfettamente lo scarto esistente tra visione e pittura, laddove è chiaro che è solo la misura coscienziale dello sguardo a scorgere e riconoscere forme, con un’azione-percezione intrinsecamente perturbatrice, in una pittura in cui il flusso quasi magmatico e caotico dei colori, come anche la sua profonda intensità, non è altro che l’amorfa irruenza di una “realtà” in-conscia. E certamente non si tratta qui degli automatismi propri del surrealismo o della metodologia “paranoico-critica” di Dalì: c’è una coscienza piena di Wanderlingh nella sua pittura. Non si tratta di discutere del momento intenzionale della creatività: è l’effetto pittorico, la “dinamica” intrinseca della pittura ad essere qui del tutto distante dagli esiti del surrealismo. “Coppia con cuore”, “Maschera”, “Messaggi” (tutti olii del 1991 ) mostrano nei tratti deformanti, nella violenta deriva dei colori, non già una nuova volontà figurativo-simbolica, né una decostruzione esterna quanto artificiale di alcune forme della tradizione secondo schemi già canonizzati criticamente nelle avanguardie storiche, ma una dinamica “enigmatica” irriducibile ad una qualunque istanza simbolico-eidetica, laddove lo sguardo non può che registrare una “indecidibilità” assoluta della materia pittorica alle grammatiche della visione. In Wanderlingh è l’inconscio stesso della visione che si manifesta: e non può che darsi in una serie di quadri “matericamente” in-finiti.
Enrico Giannetto
“Parentesi” anno IV n.17 marzo 1992
–
–