VIVERE L’ALTRA MESSINA
di Filippo Briguglio
Due realtà in un’unica città: passato e presente. Una storia antica, ricca di tradizioni ed un oggi desolato e desolante. Se attraverso le immagini che proponiamo riusciremo a suscitare “novello” interesse, vorrà dire che avremo colto nel segno: qualcosa deve cambiare, l’altra Messina deve tornare a vivere.
Perché “vivere” l’altra Messina? Perché al di là della Messina cui siamo ormai abituati, che si trascina nel vissuto quotidiano “troppo” disordinata, “troppo” indisciplinata, “troppo” caotica, “troppo” sporca, “troppo” apatica, “troppo” indifferente, “troppo” pigra, “troppo” amorfa esiste un’altra città.
Una realtà che denuncia, attraverso la sopravvivenza isolata e l’abbandono delle reliquie di un glorioso passato, la cultura e la storia dei suoi secoli d’oro; una città sommersa dove l’orgoglio delle antiche tradizioni, radicato nella laboriosità di pochi, si oppone alla distrazione ed alla superficialità dei più.
La città di oggi, la città “nuova”, avvolge nell’incuria i molteplici frammenti della sua storia antica, mai trattenendosi dal seppellirli, li spropria, mai soffermandosi a valorizzarli. Basta appena guardarsi attorno per cogliere il senso dell’abbandono collettivo di una città mobilitata nel senso di una sconnessa frenesia.
Una città che, così come è, non interessa più nessuno. Neanche quelle superstiti indifferenti ombre di turisti risucchiate anch’esse nell’indifferenza dell’ambiente.
Soffermare l’attenzione su ciò che è, oggi, la città non vuol dire fare della solita retorica un mero strumento giornalistico. Ma vuol essere, più semplicemente, il modo per contrapporre a questa città in cui sembra che i cittadini siano ormai rassegnati a vivere, un’altra Messina misconosciuta e dimenticata.
Un invito a riflettere e a considerare, attraverso immagini che si commentano da sole, tutte le cose belle e semplici che, nell’ignoto e nella discrezione, si oppongono alla platealità dei rumori, del caos, del degrado, delle beghe di palazzo.
Messina, così apparentemente invitante per la sua splendida bellezza, si appiattisce e muore contro il malessere dell’attuale società: dove il degrado supera la bellezza, dove la prepotenza è diventata un’arma per affermare il proprio diritto, la prevaricazione un segno della tendenza al dispregio dei valori umani.
Una volta denominata “provincia babba” per i tranquillo svolgersi della sua esistenza, oggi anche Messina convive con la violenza e l’illegalità: morti ammazzati, raid dei racket, droga, rapine e furti, una classe di governanti latitante od ottusa fanno parte, ormai anche qui, di un triste quotidiano.
Un quotidiano cui è difficile rassegnarsi, che sollecita forme di reazione come quella notoria, recentemente, dei commercianti di Capo d’Orlando; un quotidiano dove le proteste dei cittadini in ogni campo si allungano in misura inversamente proporzionale all’efficacia degli interventi risolutori della classe dirigente.
Ecco perché “vivere” l’altra Messina vorrebbe indurre tutti a riflettere: in fondo la città siamo noi, la consapevolezza e la valorizzazione delle cose belle, quando ci sono, potrebbero essere utili strumenti di reazione all’abbandono, all’immobilismo, al caos della ormai consueta realtà. I monumenti che proponiamo, gli scorci, i paesaggi, i momenti di vita vissuta sono soltanto alcune delle tantissime immagini, fissate dall’obiettivo, che accompagnano il nostro girovagare che vuol essere una sollecitazione ad ambire una città diversa.
Non lontano dal centro cittadino, lungo la strada che conduce a Montepiselli vi è una deviazione percorrendo la quale si giunge a Forte Gonzaga, realizzato intorno al 1540, su progetto di Antonio Ferramolino, dagli spagnoli come edificio destinato, insieme alle altre numerose fortificazioni, alla difesa della città. La struttura della cinquecentesca costruzione militare si conserva ancora ben salda, nonostante l’incuria e lo stato di abbandono. Il panorama che si allarga suggestivo sullo Stretto di Messina meriterebbe senz’altro un’attenzione particolare nella valorizzazione di questo luogo storico.
Sul versante opposto lungo la via Palermo, in prossimità di Scala, si imbocca una stradina asfaltata che percorrendo il greto del torrente di S. Rizzo conduce alla Chiesa di S. Maria della Valle o della Scala, meglio conosciuta come Badiazza, antico monastero di monache benedettine. “Fu fondato dal conte Ruggiero, – scrive Gustavo Chiesi – non appena ebbe in suo potere Messina; e fu tra il secolo XII ed il XIV dei più famosi in Sicilia, per i privilegi e le rendite di cui godeva. Ne accrebbe poi la fama una Madonna giuntavi nel 1167, in modo – dicevasi – miracoloso, attraverso mille peripezie; rubata da certi marinai messinesi in Oriente, ove era stata dipinta dieci secoli prima da San Luca; Madonna che ora si conserva nella chiesa della Scala, in città. Intorno a questa Madonna della Scala (così detta da una scaletta che l’immagine ha dipinta in mano) …” narra la tradizione un episodio. La nave ove l’immagine trafugata viaggiava, giunta nel nostro porto, ultimate le operazioni mercantili, al momento di ripartire non potè staccarsi dalla banchina nonostante i ripetuti tentativi eseguiti dai marinai. Ritenendo che ciò fosse imputabile all’atto sacrilego compiuto, gli stessi marinai riferirono l’accaduto a Federico II di Svevia che ordinò di portare l’effigie trafugata in processione in segno di penitenza. Sbarcato il quadro, la nave miracolosamente lasciò gli ormeggi, mentre l’immagine sacra fu posta su di un carro che si decise far trainare da buoi lasciati senza guida. Il carro, affidato al semplice istinto degli animali, attraversò la città e, sempre seguito da una folla di fedeli, imboccò il greto del torrente Giostra risalendo sino al monastero di S. Maria della Valle dove si fermò. Da qui l’altro nome, S. Maria della Scala, che derivò al convento.
La seconda parte della storia della Badiazza ha versioni diverse: secondo alcuni il monastero, (come del resto tutti i monasteri basiliani attestati nelle valli dei torrenti) ebbe motivazioni economiche assicurando, in virtù della sua posizione geografica di dominio della via che attraverso i colli di S. Rizzo portava alla piana di Milazzo, una funzione di controllo su tutti i commerci.
Secondo altri il monastero di S. Maria della Valle, luogo di ritiro delle monache benedettine, essendo anche stato denominato S. Maria della Scala, diede il nome di Scala Ritiro al villaggio sorto intorno ad esso, e fu abitato dalle suore fino a quando esse non furono costrette ad abbandonarlo per le continue inondazioni causate dalle piene del torrente ai margini del cui greto esso era stato edificato. Ancora secondo il Chiesi, invece, “al convento di S. Maria della Scala è tradizione che le regole non fossero né severe né rigorosamente osservate; e le pie monachelle che v’albergavano non si peritavano di farne l’asilo degli amori di Pietro d’Aragona con Matilde Alaimo Scaletta, allorché liberata Messina dall’assedio di Carlo D’Angiò vennero con grande segreto in questa città alla cui difesa il marito di Matilde, Alaimo Scaletta da Patti, tanto aveva cooperato. Scoppiata la peste del 1347, le monache di S. Maria della Scala o della Valle, come anche fu detta l’Abbadiazza, ritirandosi in città e non vennero ad abitare l’antico convento se non durante la stagione estiva ed alla spicciolata – cosa che diede origine a scandali ed abusi. – Le severità introdotte dal Concilio di Trento negli ordini monastici, costrinsero le suore di S. Maria della Scala ad abbandonare quella loro piacevole residenza estiva…”.
Ancora oggi si può ammirare la grandiosità della costruzione, che constava di due corpi (quello del Santuario e quello delle navate), nei poveri resti desolatamente abbandonati in un posto suggestivo, non difficilmente raggiungibile, eppure tanto dimenticato.
Il fascino della città, per chi voglia scoprirlo, sta anche in quel suo quotidiano sommerso e sconosciuto che, nel suo esistere, disegna il perdurare di antichi mestieri e tradizioni. E’ possibile quindi incontrare un artigiano barcaiolo, intento nel suo capannone ad un lavoro navale ormai desueto se non addirittura ignorato; oppure i pescatori che alla generosità del mare affidano le loro sorti.
E ancora “l’altra” Messina è quella, dell’inconfondibile incantato scenario del suo Stretto, dei suoi tramonti e delle sue notti fermati in un momento di magia, è quella dipinta nei colori delle sue spiagge, o in quegli insoliti scherzi della natura che disegna, aiutata da un complice vento, immagini inconsuete sulle sue colline di sabbia.
L’altra Messina quella misconosciuta e dimenticata, è la città silenziosa e nascosta, ostinatamente presente nelle pur malconce testimonianze della sua storia, scomoda coscienza per chi non vuole o non sa vederla, malinconico rifugio per chi soffre del suo degrado. Una città sprecata, per la quale non può e non deve dirsi, soltanto, “peccato!”.
Filippo Briguglio
Anno III n. 15 Sette. Ott. 1991
(1364)