Vulcano, un inno alla natura
di Filippo Briguglio
L’isola, tutto l’anno meta continua di visitatori, offre bellezze, salute e spunti di riflessione.
Con quella parte di costa punteggiata di fumarole che si allunga sin dentro il mare Vulcano sembra avviluppare in un abbraccio chi si avvicina all’approdo. Investe l’acre odore di zolfo che impregna l’aria fino a penetrare nei vestiti e nella pelle. L’atmosfera è come sospesa e rarefatta; lontano dalla rumorosa presenza della moltitudine dei turisti dei mesi clou dell’estate, l’isola recupera la sua selvaggia dimensione piena di contraddizioni.
Da una parte il fascino misterioso di una natura capricciosa che benignamente si è divertita ad alternare, a mescolare, a confondere paesaggi brulli e angoli verdi, spazi quasi infernali ad angoli di paradiso.
Dall’altro la devastante fantasia dell’uomo che malignamente ha profuso la sua sregolatezza rompendo questo insolito ed incredibile equilibrio paesaggistico con una dissennata proliferazione di costruzioni senza regola, innumerevoli case dagli stili più brutti e svariati.
Abbiamo volutamente scelto questo periodo dell’anno, ancora tranquillo per la vita isolana, per rivisitare una tra le più singolari isole dell’arcipelago Eoliano. E l’abbiamo trovata così: semplice, quasi spoglia, senza ancora gli orpelli e le brutture delle sue consumistiche estati, con operai affaccendati intorno agli edifici “selvaggi” già esistenti, o ad altri nuovi, per prepararla alla “grande invasione”, vestita solo delle sue non comuni bellezza naturali.
Girovagare per l’isola significa immergersi nei fantasiosi giochi di una natura generosa.
Una delle prime cose che colpiscono è quell’immota pozza di fango che si allarga alla vista di chi si avvia verso la zona di levante.
Le persone immerse in essa, chi interamente chi a mezzo busto, evocano pittoriche immagini da inferno dantesco; e le rafforzano quelle figure umane deambulanti con il viso ed il corpo, parzialmente o interamente, coperti di fango. Sì, perché villeggiare in un’isola come Vulcano significa anche, per molti, includere nel programma, un obiettivo – salute all’insegna del “fai-da-te”: magari per curiosità, magari per convinzione l’idea di provare la sensazione di “fare i fanghi”, di tuffarsi nelle sulfuree acque calde senza restrizioni e senza limiti attira ed affascina. A queste sorgenti di acque calde che si trovano in mare, e che rendono sicuramente piacevole il bagno anche non in piena estate, si attribuiscono infatti notevoli virtù terapeutiche per la composizione delle acque fortemente mineralizzate dal cloruro di sodio e di ammonio.
Altra sorgente di acqua calda è la grotta detta “dell’acqua bollente” situata sul lato, rivolto verso il mare, dell’alto faraglione di levante all’interno della quale vi è un laghetto con acqua calda talvolta anche bollente. Man mano che ci si sposta dal Porto di levante verso il Porto di ponente le immagini cambiano suggestivamente.
Come d’incanto quel paesaggio così scarno, essenziale, rigoroso nella fusione di fanghi, acque calde, della terra circostante sulfurea ed arsa, dominato dallo spigoloso faraglione guardiano di quella dimensione quasi infernale, si trasforma.
Gustarlo dal mare è inebriante. Ci accompagna nel nostro giro dell’isola un vecchio pescatore “zio Paolo”, ottantasei anni e mezzo, che conduce da solo la sua barca “dove salta dentro come un ragazzino – si compiace dirci lui stesso”, e che con la semplicità che gli deriva dalla sua vita sana ci fa da improvvisato Cicerone.
Promontori, strette e lunghe scogliere si protendono in mare formando tante piccole calette dai pittoreschi nomi dialettali, guglie isolate sorgono dall’acqua fino allo svettante faraglione che troneggia all’imboccatura del Porto di Ponente, caratteristico con la sua costa bassa e con le sabbie nere. La costa prosegue così, incisa da ripidi scogli e terrazzamenti ormai desueti, tra insenature, anfratti e piccole grotte.
Tra queste la “grotta del cavallo”, penetrabile con una piccola barca e percorribile sino alla parte terminale dove la luce solare, filtrata da un condotto naturale, crea una suggestiva atmosfera. Ci incuriosisce la presenza di macchie rosse che quasi delimitano il confine tra il pelo dell’acqua e la roccia cui aderiscono. “Zio” Paolo ci informa che si tratta di materiale simile al corallo e come tale, utilizzabile per creazioni ornamentali varie. Un’insolita mucillagine gelatinosa inoltre ricopre la superficie del mare all’interno della grotta: sembrano meduse fittamente raccoltesi l’una accanto all’altra. Ed in effetti, ci conferma sempre il nostro cicerone, si tratta di roba della specie che compare solo dopo una stagione particolarmente piovosa e che è un fenomeno non ricorrente che si è manifestato, adesso, dopo quasi quarant’anni che non si ripeteva.
Anni in cui Vulcano ha subito una trasformazione anche strutturale, nel corso del tempo: finiti i tempi da “dolce vita” delle vacanze isolane segnate dalla presenza di figure eclettiche come fu quella, ad esempio, di Mario Patrovita, il “Principe di Vulcano”, così amava definirsi egli stesso, dell’antico fascino l’isola conserva ancora il romantico chiarore complice della luna e delle sue notti stellate che ostinatamente contrappone al “nostro” progresso.
A quel progresso in nome del quale, anche in un angolo di sogno della natura, i video – games (accorpati sotto un tendone pratico ma sicuramente non ambientalistico) hanno soppiantato per la maggior parte dei giovani vacanzieri il fascino dei falò sulla spiaggia, o le passeggiate sulle poche percorribili strade immerse nel buio.
Un tempo ambita meta di pochi, oggi Vulcano è privilegiata soprattutto da un turismo di massa cui si contrappone un’ospitalità altrettanto di massa molto poco lungimirante in termini di obiettivi turistici. Gli habitué dell’isola, rimasti ormai pochi, si rifugiano nelle loro ville o in quei pochi spazi esclusivi che ancora rimangono loro. Una perversa logica del “guadagno selvaggio” (due – tre mesi su cui vivere di rendita per tutto l’anno), fare (poco) solo in funzione di un immediato ritorno, ispira la politica dei tanti indigeni improvvisati operatori turistici: il turista è visto come un “limone da spremere” anziché da coltivare. Cosicché (fatta salva qualche rara eccezione ove si escludano gli operatori turistici d’importazione) esiste nella maggior parte dei casi una forte discordanza tra prezzi esageratamente elevati ed una qualità e quantità dei servizi assolutamente deficitaria. Una sicurezza eccessiva determinata dalla certezza che davanti a tante naturali bellezze “comunque” il turista, anche se sempre diverso, torna, induce gli isolani a vivere di rendita, senza impegnarsi più di tanto. Ma fino a quando potrà durare questa “araba fenice” considerate le offerte sempre più varie di un mercato turistico in continuo sviluppo?
Dopo avere completato il nostro giro dell’isola in barca, ci inoltriamo verso l’interno, verso Vulcano Vecchio o Vulcano del Piano, la parte più antica dell’isola. Dalla strada il Vulcano, sopito ma non spento, oggetto di continui studi da parte di vulcanologi di tutto il mondo, appare in tutto il suo incanto: le verdi pendici punteggiate da macchie di vegetazione vanno via via diradandosi sino ad assumere quell’aspetto prevalentemente lavico della sommità, brullo, interrotto solo dalle “fumarole” perennemente vitali, concentrate nel cosiddetto Piano delle Fumarole ma che, sparse anche qua e là, offrendo uno spettacolo suggestivo, si spingono sin sotto il livello del mare. Proseguendo, la strada si inerpica leggermente tra coltivazioni, frutteti e vigneti sino a giungere ad una sommità da dove andando da una parte si può ammirare il panorama della costa siciliana spingendo la visuale, nelle giornate particolarmente terse, sino all’Etna. Mentre dall’altra parte, giungendo a Capo Grillo, si para improvviso dinanzi allo sguardo stupefatto un indescrivibile panorama di rara suggestione: tutte le isole Eolie sono lì, a portata di mano, manciata di terre emergenti da un mare limpido e cristallino, che si rincorrono come a cercarsi, ciascuna fiera nella sua personalissima bellezza. Uno spettacolo davvero eccezionale!
Ridiscendendo a valle, oltre il Porto di Levante e di Ponente si risale attraverso una strada inizialmente ombreggiata verso Vulcanello, che, visto da lontano, sembra un isolotto legato a Vulcano da una sottile striscia di terra. Plinio racconta che Vulcanello sorse dal mare nel 183 a.C. e che si unì a Vulcano, in seguito alle sue eruzioni non senza provocare grande moria di pesci. E’ la parte dell’isola più vicina a Lipari dalla quale è separata da un canale di mare in mezzo al quale, maestosi, si stagliano i faraglioni. Più oltre, nelle giornate limpide si individuano Panarea ed in fondo Stromboli, mentre alle spalle di Lipari si delinea Salina.
Anticamente Thermessa, Terasia, Isola di Efesto, l’isola fu dai Romani chiamata Vulcano. Si dice che i Greci la considerassero sacra e consacrata ad Efesto, dio del fuoco. La mitologia vuole che fosse una fucina infernale comunicante con l’Etna, lo Stromboli ed il Vesuvio, dove circolavano i Ciclopi che forgiavano i potenti strali di Zeus e le micidiali armi per gli eroi.
Il Gran Cratere, uno dei tre vulcani dell’isola ancora attivo, fu importante per l’economia dell’isola dei tempi passati. Da esso infatti si estraevano zolfo ed altri minerali. Le prime grandi eruzioni in epoca recente, dopo lo stato di notevole attività di cui avevano parlato Aristotele e Tucidide, si ebbero nel 1786 e nel 1888; quest’ultima mandò tutto in rovina e delle miniere di zolfo e di allume non rimase più nulla.
L’intera isola di Vulcano è costantemente oggetto di studio, oltre che dei vulcanologi, dei minerologhi e dei botanici per la presenza di rare piante e tipi di vegetazione, insolite per le nostre parti, e che come tali andrebbero adeguatamente difese e perpetrate nella specie.
Recentemente è stata costruita in contrada il Cardo la nuova centrale elettrica a pannelli solari dell’Enel, mentre nel vallone della Grotta dei Palizzi è installato un cantiere dell’Agip per la ricerca di energia geotermica.
Del gruppo delle Isole Eolie Vulcano è la più vicina alla costa siciliana. E’ raggiungibile da Milazzo con aliscafo e nave durante tutti i mesi dell’anno. Folcloristico è vedere, in piena stagione, le variopinte code di turisti in attesa agli imbarcaderi così come vederli sbarcare, dopo la traversata, e disperdersi solitari o a gruppetti nell’isola, che li ha già accolti con un promettente saluto sventolato sopra un cartello: “questa è la mia terra e tu sei mio ospite gradito. Ti darò salute, sole, mare e tanto amore… (il dio Vulcano)”.
Vulcano è un po’ l’isola per tutti: sulle sue spiagge si incontrano intere famiglie, anziani, turisti soli o in comitiva, ragazze rigorosamente in topless anche fuori stagione, persone alla ricerca di un angolo contemplativo, single d’assalto in cerca d’avventura.
Si intrecciano vicende, esigenze, desideri manifesti o repressi, speranze e fantasie: l’anonimato è un optional, la libertà e l’abbandono degli schemi consuetudinari un obbligo.
Filippo Briguglio
3)
“Parentesi” Anno III n. 13
Aprile- maggio-giugno 1991