Quella Valle del Flumen Dionisy…
Alle falde dei monti Peloritani, sulla sponda destra del fiume, l’antico Chrysoroas, si adagia un centro abitato le cui mura trasudano una storia millenaria e si rivela incastonato in un paesaggio intenso di suggestivi incantesimi
di Filippo Briguglio
Lasciando la statale subito dopo il ponte tra Ali’ e Nizza di Sicilia, svoltando sulla destra, ci si immette in una strada non molto larga che risale, costeggiandolo curvilinea, il greto di uno dei ruscelli della vallata “uno più grande, il Nisi, onorato dal nome di fiume” così citato da Johann Wolfgang Goethe nel diario di martedì 8 maggio sulla via di Messina del suo Viaggio in Italia. Ancora egli scrive: “a sinistra si costeggiano delle rocce calcaree; esse divengono più colorate e formano delle belle insenature: Poi viene una specie di pietra che si potrebbe chiamare schisto argilloso, o un quarzo misto di schisto e di mica. Nei ruscelli si trovano già dei ciottoli di granito. Le mele gialle di solanum e i fiori rossi di oleandro rallegrano il paesaggio. Il fiume Nisi, come i ruscelli che si trovano in seguito, trasporta degli schisti micacei… “(nome generico di rocce caratterizzate da una disposizione regolare di componenti mineralogici, per lo più silicati di alluminio e metalli alcalini contenenti spesso ferro manganese magnesio e fluoro, lamellari e fibrosi e perciò facilmente sfaldabili N.d.R.)
La valle del Nisi, dominata dal castello Belvedere e sulla quale sovrastano le alture più rilevanti dei Peloritani, tra la quale Monte Scuderi dove si trovano rare erbe medicinali, è punteggiata qua e là da case coloniche a mezza costa e da macchie di vegetazione inframmezzate dagli agrumeti, ricchezza del territorio. A metà percorso si scorge, in basso sulla destra quasi vicino al fiume, una piccola chiesetta rurale, la Nunziatella, meta di pellegrinaggio (della quale si dirà più avanti).
La strada prosegue e, ondeggiando tra salite e qualche discesa in un paesaggio che ispira sensazioni bucoliche immote nel tempo, si arriva a Fiumedinisi.
All’ingresso del paese una bianca statua della Madonna, incastonata nel verde della collina e rilevata da nastri di seta, accoglie il visitatore.
L’aria è frizzante, i colori dell’autunno creano una rarefatta atmosfera di languida dolcezza che rimbalza tra le mura delle vecchie case, abitazioni semplici spesso rifatte, che si affacciano sulle piccole stradine e si rincorrono talmente vicine da sembrare talvolta sovrapposte le une alle altre. Di quando in quando si allarga un cortile, gli stretti vicoli collegati da scalinate dai ripidi gradini, l’arco accennato di un vecchio portale, fregi superstiti su vetuste facciate ravvivate dai fiori dei balconi, la sapiente luce dei lampioni all’imbrunire, e lassù in alto il contorno dei ruderi del Belvedere e giù in basso lo scorrere appena accennato del fiume, ancora quasi asciutto in questa stagione, richiamano alla memoria retaggi di un passato ricco di storia e di leggenda dell’antica città di Nisa.
Fiumedinisi “fu un tempo centro industriale di notevole importanza.” così introduce alla conoscenza di esso Carlo Gregorio nel suo libro ‘I tesori di Fiumedinisi’ attento e meticoloso studio sulla storia del paese- “La presenza nel passato di numerose fabbriche, di una ricca economia agricola, di invidiabili istituzioni politiche e sociali fanno pensare ad un centro abbastanza florido, ove trovavano lavoro numerosi abitanti di Fiumedinisi e dei vicini comuni della riviera ionica…I giacimenti metalliferi, il commercio dei prodotti agricoli e la grande produzione della seta, esportata anche all’Estero, rappresentavano le principali fonti di ricchezza…Certamente l’alluvione del 1855 fu tremenda per il paese: distrusse strutture, attrezzature, strade e, di conseguenza, tanti posti di lavoro svanirono…sparirono le fabbriche e le istituzioni che facevano di Fiumedinisi un paese rigoglioso, operoso ed in crescente sviluppo.”
Delle abbondanti risorse minerarie (tra cui bronzo, rame, piombo, antimonio, zolfo, vetriolo, cinabro) cui già Goethe accennava, della “mirabile miniera d’oro e d’argento nei colli che sovrastano al fiume, non lontano da Nisa”-come scrive lo storico Fazello- e “ancora nei medesimi colli le cave del ferro, del profido e dell’allume”, di quelle “rasure di oro che scorrono tra le arene del rapido torrente” -ancora Fazello nella Storia di Sicilia che valsero al Nisi l’appellativo di Chrysoroas, datogli dai Greci per la ricchezza aurea utilizzata nella coniazione di monete e nella fabbricazione di gioielli e utensili, dei gelseti e della fiorente industria della seta e del lino, di tutte queste risorse che nel corso del tempo furono gli assi portanti dell’economia del territorio del Nisi, adesso resta solo lo storicizzato ricordo.
Solo di recente sono state condotte interessanti ricerche che hanno rivelato la presenza di tracce di tungsteno in diverse contrade dell’area di Fiumedinisi, il cui sfruttamento (se valutato positivamente sotto l’aspetto estrattivo e, quindi, industriale) potrebbe costituire una potenziale linfa di
Benessere economico.
Fiumedinisi è, oggi, un paese semplicemente agricolo, succubo anch’esso di quel triste fenomeno migratorio che ha colpito sopratutto il paese dl nostro entroterra, ma dove, nonostante gli avversi eventi sopratutto dei tempi recenti, non sono mancati tuttavia segnali di ripresa di una qualche attività. Dagli inizi del secolo sino a circa un trentennio fa, ad esempio, la sartoria ebbe validi rappresentanti la cui arte andò oltre i confini dell’isola; mentre l’artigiano Salvatore Carbone, fabbricante di orologi si affermò sul territorio nazionale ed estero dotando dei suoi orologi molte torri campanarie tra il 1910 e il 1930.
Sul piano culturale e sociale si espressero protagonisti come Stefano Bottari, insigne studioso di Storia dell’Arte; Don Micio Briguglio, studioso di teologia, filosofia, letteratura e sociologia, amico di Giovanni Pascoli; l’avvocato Melchiorre Gugliotta, stimato e apprezzato giurista; l’arciprete Giuseppe Parisi, intimo amico di Cavour dal quale ottenne il finanziamento per arginare il torrente dopo l’alluvione del 1855.
ORIGINI E STORIA
Recenti scavi archeologici (i cui reperti sono custoditi nel Museo archeologico di Giardini Naxos e presso i depositi della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Siracusa) testimoniano insediamenti umani nella Valle del Nisi già in età preistorica.
Nel 1294 a.C. l’abbondanza di acqua del fiume e la ricchezza di sorgive dell’intera zona indussero i Siculi, dopo l’esodo in massa nella Sicilia orientale e la sconfitta inferta ai Sicani per il possesso di questa parte dell’isola, a stabilirsi nel territorio del Nisi dove fondarono e costruirono il primo nucleo abitato cui in seguito alcuni coloni greci, trasferitisi in Sicilia, imposero il nome di Nisa reiterato omaggio al culto di Dioniso, dio del vino e della vite, largamente venerato: In seguito la leggenda narra che qui sembra sia vissuto il mitico marinaio Faone di Lesbo, amato dalla poetessa greca Saffo che venne in Sicilia, a Nisa, per incontrarlo e il cui viaggio ispirò il poeta latino Ovidio.
Nei secoli a seguire Nisa fiorì sotto il governo romano, conobbe l’amministrazione dei Bizantini, dei Barbari dell’Africa e degli Arabi che crearono un nuovo insediamento vicino al torrente, proprio dove sorge oggi il paese, sino ai Normanni ai quali si devono la definitiva ubicazione e il nome attuale. Essi, infatti, trasferirono l’abitato dell’antica Nisa nell’insediamento che gli Arabi avevano cominciato a costruire e gli imposero il nome di Flumen Dionisyi, nel ricordo di Dioniso, venerato dall’antica colonia greca) e del fiume che nasce dai confini.
Tra gli eventi di maggior rilievo del periodo feudale sono da ricordare la morte di Enrico IV, avvenuta nel 1197, e l’avvento, nel 1392, della dinastia dei Colonna. L’Imperatore Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa e marito di Costanza d’Altavilla, iniziatore della dinastia sveva in Sicilia, morì nelle contrade di Fiumedinisi, nei pressi del castello Belvedere ai cui piedi esisteva una riserva reale di caccia, per avere bevuto (secondo
La tesi storica maggiormente accreditata) “l’acqua fredda di quel fiume, mentre trafelato stava cacciando al falcone nei boschi”. Un cenno, infine, allo storico Castello Belvedere del quale rimangono soltanto i resti delle mura merlate della facciata e qualche altro rudere.
Il Castello, raggiungibile in macchina per un primo tratto di strada non asfaltata attraverso la contrada Vacco e, quindi, a piedi lungo uno stretto sentiero ritagliato in mezzo alla vegetazione del bosco, fu costruito nel IX secolo dagli Arabi in una posizione invidiabile. Dalla sommità del colle su cui fu edificato, infatti, lo sguardo, vaga liberamente da Capo S. Alessio a Capo Ali’ e rimbalza dal mare al massiccio dell’Etna in lontananza spaziando senza limiti.
Originariamente concepito come fortezza sui resti di un antico tempio consacrato dai Greci al Dio Dioniso, fu in seguito ampliato dai Normanni che lo “adibirono a residenza del signore del luogo”. L’evento storico più rilevante di cui esso fu teatro e stata la morte di Enrico VI di cui in precedenza si è detto.
FESTE E TRADIZIONI
La manifestazione religiosa più affascinante e antica, perpetuata nel corso dei secoli con sincera devozione, è la “Festa della Vara” la cui origine risale al XVI secolo.
In onore della Madonna Annunziata, protettrice del paese sin dal 1200, essa si celebra in agosto con cadenza quinquennale (l’ultima si è svolta nel 1988 N.d.R.). E’ un complesso rito solenne preceduto da mesi di preparativi e al quale s’innestano, la vigilia, manifestazioni pittoresche, e ugualmente toccanti, come i “Viaggi” e il pellegrinaggio alla Chiesa di S. Anna, o Nunziatella.
I “Viaggi” sono un’emozionante processione penitenziale di vetusta origine cui partecipano persone di ogni età e ceto sociale che al tramonto, in ginocchio e alla luce delle candele votive, compie il pellegrinaggio, cantando l’antico canto “Evviva Maria” lungo un percorso di circa trecento metri detto
Anche della Vara, dall’altare della Natività della Chiesa di S. Pietro sino all’altare della Chiesa Matrice, che raggiungono dopo avere faticosamente salito -sempre in ginocchio-anche i gradini dell’antistante scalinata.
La preparazione della “Festa della Vara” è scandita da tempi ben precisi ed ha inizio nove settimane prima della data fissata. “Per sette venerdì, tutte le maestranze locali fanno a gara per organizzare nel modo migliore la propria festicciola. I ‘Venerdì’‘ consiste nel giro del paese in processione, cantando e suonando, con strumenti tradizionali, a ogni crocicchio di strada, l’Evviva Maria… La processione si conclude in chiesa…subito dopo la maestranza di turno offre a tutti i cittadini, oltre a piccoli rinfreschi, rappresentazioni folkloristiche e di costume.
Per cinque domeniche, invece, si svolgono le prove pubbliche di canto per i bambini che interpreteranno i personaggi viventi, caratteristica saliente, della “Vara”. La prima prova ha luogo sul sagrato della Chiesa di S. Nicola 8dove come già si è detto, sono custoditi alcuni pezzi della Vara) per poi proseguire sul
Sagrato della Chiesa Matrice.
Una settimana prima della festa le campane fanno sentire ogni sera, per due ore, i loro rintocchi.
La “Vara” (che ancora oggi possiede pezzi originali) è una costruzione di legno con armatura interna in ferro, smontabile, alta 10 metri e del peso di circa due tonnellate. Sui due cippi tenuti insieme da tre travi, occupano posto i tre bambini prescelti che raffigurano Dio, la Madonna e l’Arcangelo Gabriele e i tre “mestieri” (discendenti dei falegnami e del fabbro ferraio artefici della costruzione) che hanno il compito di “guidare” lungo il suo percorso, la Vara portata a spalla da circa 150 “devoti”, vestiti di bianco, che si tramanda gelosamente di padre in figlio “u locu a Vara”, cioè il posto assegnato sotto la Vara.
La processione, tra sventolio di fazzoletti e grida di “Viva Maria”, si svolge in due momenti. La mattina la Vara ancora “spogliata”, cioè non addobbata, con i personaggi e i devoti che ancora non indossano i loro costumi particolari, parte in direzione di Piazza S. Pietro. Nel pomeriggio la Vara viene “parata” cioè addobbata con drappi e fazzoletti multicolori, tutti i protagonisti vestono gli antichi abiti tradizionali, i”devoti” si radunano sul sagrato della Chiesa di S. Nicola da dove, in processione, si dirigono verso la Vara che, quindi, con lo stesso rituale solenne della mattina, fa ritorno nella Piazza della Chiesa Matrice dove, in conclusione, ha luogo la Rappresentazione dell’Annunciazione col canto dialettale antico intonato dai tre personaggi viventi della Vara.
La Festa della Santissima si celebra la prima domenica di settembre nella Chiesa della SS. Trinità, situata nel bosco della Santissima ai piedi del Monte Scuderi.
Di origini antichissime il culto della SS. Trinità fu introdotto dai monaci basiliani che nei dintorni di Fiumedinisi eressero un loro monastero.
Il momento culminante della festa è la processione del “Crocefisso” che, si snoda all’imbrunire attraverso le strette e incantevoli valli della Santissima.
Affascinanti sono, la sera prima della festa, i “bivacchi” dei tanti pellegrini che, accampati nel bosco, intona, alla luce dei falò, canti che si mescolano nell’aria notturna agli inni sacri provenienti dalla Chiesa.
Un particolare ringraziamento per la cortese collaborazione al
Prof. Fortunato Pergolizzi e al Dott. Carlo Gregorio, autore del
Libro “I tesori di Fiumedinisi”.
COMUNE DI
FIUMEDINISI
(PROVINCIA DI MESSINA)
Sindaco:
Francesco Coglitore
Vicesindaco:
Nicola D’Anna
Assessori:
Lucia Bonura
Gaetano Ricca
Paolo Scoglio
Consiglieri:
Vincenzo Attilio Caminiti
Antonino Cascio
Domenico Cascio
Paolo Croce’
Cateno De Luca
Giancarlo Forlese
Domenico Magliarditi
Carlo Nottola
Carmelo Salma
Gino Totaro
MINIGUIDA
Altezza sul mare: 190 m. s.l.m. Superficie: 35,99 kmq
Abitanti: circa 2.030
Monumenti: chiesa di Maria SS. Annunziata (matrice), chiesa di
- Pietro, chiesa di S. Anna (Nunziatella);
Palazzo della Zecca; Castello Belvedere
Banca: Cassa Rurale ed Artigiana di Itala
COME ARRIVARE
Dalla Costa Ionica lasciando la strada statale 114 tra Alì e Nizza di Sicilia si imbocca la strada provinciale che s’inoltra
Tra le alture peloritane innalzandosi rispetto al livello del letto
Della fiumara, che costeggia, e percorrendola per circa 6 km.
DOVE MANGIARE
Trattoria Agnello d’Oro; Ristorante-Pizzeria Badessa
Altezza sul m
2180
Filippo Briguglio
“Parentesi” n.10 Sett./Ott./Nov. 1990