Associazione Culturale Parentesi

Fondata a Messina nel 1989.- “Parentesi” Rivista bimestrale di politica, economia, cultura e attualità diretto da Filippo Briguglio. Reg. Trib di Messina 18/02/1989. Iscritto nel Registro Nazionale della Stampa con n°3127 Legge 5881 n° 416.

LETTERA INDIRIZZATA A UNO STUDENTE DI LICEO del prof. Giuseppe Mortabito

   Alla fine di quel piccolo convegno che si tenne il 31 marzo) nell’Aula Magna del Maurolico, rimessa a nuovo, con tante altre belle novità, dal solerte preside Repici, ho avuto un piccolo scatto per la lettura metrica. Due, dei tre oratori, avevano citato, tra l’altro, vari versi latini; quantunque fossero miei, io, con quella lettura, non li ricordavo affatto, cioè non li avevo ben capiti, o la testa mi si era confusa. Credo che né tu né altri avrebbero capito, se non ci fosse stata subito la traduzione. lo spero che i due presentatori non si siano offesi per quel mio piccolo sgarbo, improvviso e come involontario.

Allora una professoressa, mia ex-alunna, mi fece notare che io mi ero contraddetto, perché, quella maniera di leggere versi latini e greci, io l’avevo insegnata… Sentii anche che tu e tuoi compagni avevate detto alle docenti che si doveva smetterla con la prosodia e la metrica, perché l’avevo detto io!

E’ bene, per la verità e la serietà degli studi, dire come sta la cosa, lo non ho ma, detto che bisogna mettere da parte prosodia  metrica. Sì, ho insegnato anche letteratura metrica, ma credevo fossero necessarie prima ben altre cose.

In vane occasioni, io ho letto versicoli miei di circostanza per valorizzare l’insegnamento del latino, ma non ho letto mai in quel modo saltellante, perché non ho mai creduto che i latini potessero leggere in quel modo. La ritenevo invenzione recente dei filologi, forse tedeschi. Nella Università di Firenze ne fu propugnatore tenace un filologo esimio, Giorgio Pasquali, che ha studiato in Germania, ma che. penso, non ha mai scritto un verso latino. Egli pretendeva che i suoi alunni leggessero in quel modo.

A quelli che scrivono versi in latino (parlo solo di morti), so che non piaceva. Ho conosciuto personalmente F. Quattrone (era di Reggio), Sofia Alessio, V. Genovesi, V. Polidori, A. Bartoli: nessuno la voleva. Che cosa pensasse T. Ciresola, Ferd. Brignoli e, soprattutto, il tedesco Weller, coi quali fui in corrispondenza finché vissero, non lo so. Che tale lettura dimostri, anche in chi legga bene, perfetta conoscenza della prosodia e metrica, non lo credo. Essa può esser utile per chi compone oggi, per accorgersi se gli è sfuggita qualche sillaba in più o in meno, o anche qualche piede; perciò non riguarda i classici che si debbono leggere nella scuola. Che uno studente, leggendo i versi in quel modo, li possa meglio capire e, se è cosa possibile, gustare, non l’ho mai visto. Pascoli, che, come dovresti sapere, scrisse tanto anche in latino, non doveva leggere metricamente, se gli sfuggì qualche esametro di sette piedi. Il Bartoli, che, alla fine del secolo scorso, scrisse anche un nutrito studio sulla Prosodia e metrica di Virgilio, poiché sapeva che commissari degli esami di maturità chiedevano sempre la lettura metrica, disse a un suo alunno privato come doveva rispondere: che egli conosceva il nome e le leggi dei versi in esame, che sapeva scandirli, ma che il suo professore gli aveva sempre imposto di leggere come leggono le … persone perbene. E così fu, ma. Quando l’esaminatore seppe il nome di chi l’aveva preparato, disse all’alunno di leggere come voleva. E un giorno il Bartoli ebbe a litigare per telefono anche con Pasquali per un verso di Seneca fuori misura. Egli, raccontando quel colloquio, termina dicendo: “gli feci osservare che non importava spaventare i poveri cervelli dei giovani con quelle quisquilie” e che ‘era meglio se le alunne, impaurite colombelle, traducendo in latino, non mettessero, come fanno, i soggetti in accusativo”. Miserie universitarie di molto più di un mezzo secolo fa, ma che possono essere anche nostre, dunque, caro studente, insegnavo anche la lettura metrica perché (ti dirò con Renzo Tramaglino), dato che “la c’era questa birberia” volevo che gli alunni se ne sapessero servire, ma cercavo di esercitare praticamente su ciò che mi pareva più necessario e più duraturo. Chi studia, deve leggere anche poesia; legger poesia senza rendersi conto delle leggi fondamentali che la governano, non è dignitoso per chi studia né onesto, per altri, lasciar correre e ciarlare di letteratura, rimandando qualche notizia agli ultimi giorni. Non è difficile far ciò che è fondamentale, ma bisogna farlo pian piano, quasi senza far notare che si entra in un campo che è ritenuto denso di grovigli. Tanto più che, se si badasse anche alla versificazione italiana, cominciando, come per gioco, anche dalle elementari, tante leggi dei versi classici sarebbero subito capite. Su questo vorrei un po’ continuare. Hai studiato delle poesie italiane, ma ne sai qualcuna a memoria? Ce ne sono tante, cha hanno sentimento, sono scritte bene, si possono capire anche in tenera età, ed è bello leggerle senza tante critiche e paroloni. Credo che non ne potresti ripetere neppure una. Io non intendo parlare di quei cosiddetti versi che si scrivono per far della musica. La memoria non è più esercitata in quegli anni nei quali essa è tenace, ma Quintiliano la consigliava. Se si sapessero considerare versi nostri, ma seriamente si vedrebbero tante leggi che tornano in latino. Del resto sai che la versificazione italiana e di altre nazioni, è figlia di quella latina; quando si perse il senso della quantità, si guardò solo al numero delle sillabe. Chi, praticamente (ma, vorrei dire meglio, con lenta e lunga pratica) si rende conto della versificazione nostra, può giudicare molto meglio anche quella moderna o modernissima, purché non si entri nel campo della pazzia finta o anche di quella vera.

Lo scrivere senza nessuna regola, cosa oggi di moda, a me non va.
Non molti mesi la, una signorina mi chiedeva una prefazione per suoi versi. Li volli vedere. Lette due o tre pagine, risposi che non potevo, perché io vedevo solo prosetta. Altra volta un signore mi mandò alcuni volumi bene stampati; in fondo ad uno erano riportate alcune lettere piene di elogi; poiché nei versi c’era un po’ di politica o patriottismo, il poeta era paragonato ad un Alfiere a un Carducci…; nessuno aveva fatto alcun cenno ai versi sbagliati. Dunque o vana piaggeria o ipocrisia oppure ignoranza. Un altro episodio Un altro episodio. Non so se ti è completamente ignoto Vittorio G. Rossi; se è così, leggi almeno il Silenzio di Cassiopea, una lunga novella che dà il titolo al volume. Una mattina è chiamato al telefono; una amica si congratulava con lui per la stupenda poesia letta sulla rivista… Egli non aveva mai scritto un verso; stupore perciò, per entrambi. Prese la rivista. Un bello spirito aveva voluto fare uno scherzo; scelse una mezza paginetta del Rossi, e la copiò, andando – capo ogni quattro o cinque parole, come fanno i poeti moderni.

Qualche mese fa, lessi su un grande quotidiano un tre o quattro… ottave di un poema allora in corso di stampa. Non erano affatto ottave come quelle del Tasso e dell’Ariosto; erano versi endecasillabi piani tronchi sdruccioli, buttati giù come venivano; dunque erano versi sciolti, quantunque i versi sciolti tradizionali (Monti, Foscolo, Parini…) non presentano mai una simile confusione; ogni otto versi si andava a capo e questa era ottava! C’erano lì due versi che endecasillabi, certo, non erano.

Novità poetica? Errori di stampa? O la colpa è di Apollo, il dio della poesia, che, nel colmo della sua ispirazione, non fa distinguere l’undici dal dieci? Non so se, nello svolgersi degli avvenimenti, l’inconveniente ritorni. Finisco. Prima della prosodia e metrica latina, vorrei che s’imparasse quella italiana. So che la poesia non sta solo lì, ma non saper distinguere un verso nostro non è certo decoroso. La metrica latina, poi, con la relativa prosodia, dovrebbe essere svolta a poco a poco, e senza perdita di tempo e noia relativa. Il poco e bene, anche qui, può esser preferibile alle ciarle inconcludenti su Classicismo, Romanticismo Realismo Neorealismo Scapigliatura, di cui si fa vano sfoggio nella infame Maturità, che continua ad appesantire la Scuola e a degradarla. Se, di tutto questo che ti ho qui accennato, qualcosa non ti persuade, puoi venire con qualche tuo compagno, e discuteremo. Ti saluto, con l’augurio che possa uscire dal tuo Liceo a fronte alta e senza alcuna vergogna.

Giuseppe Morabito

 

 

 

 

 Biografia

 

Prof. Giuseppe Morabito, nato a Reggio Calabria il 7/1/1900, ha insegnato al liceo per 42 anni (37 al Liceo Maurolico di Messina) fino al 1970. Scrittore latino in prosa e versi, è noto in Europa per “la vastità della sapienza e l’estrema umiltà”. Tra i più prestigiosi riconoscimenti ricevuti ricordiamo: due medaglie d’oro e diciassette Laudes al concorso di poesia Amsterdam] sei medaglie d’oro e sei d’argento al Vaticanum, carmina; due medaglie d’oro e tre d’argento al Vaticanum, prosa; tre primi posti due medaglie d’argento e quattordici Laudes al Capitolium, prosa. Stenuo difensore della scuola classica, collaboratore di importanti riviste culturali

Parentesi n.26/27 Anno II° n. 8 – maggio 1990

 

 

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