SINTOMO DI “NON SPERANZA” 0 “VIRUS” DA DEBELLARE? L’ASTENSIONE
di Gaetano Briguglio
Il dibattito sul non voto ha sempre esercitato un fascino maggiore che non le interpretazioni spesso divergenti sui risultati elettorali, da parte dell’opinione pubblica.
Ciò accade perché la gente non ha solo il gusto di individuare chi ha vinto o presuntivamente perduto, ma anche quello di capire il comportamento occulto dell’elettore, il suo giudizio sul non espresso.
Se il voto è segreto il non voto è un mistero e proprio per questo più stimolante. Interpretarlo è un esercizio difficile, anzi quasi impossibile, quindi politicamente redditizio.
Ognuno tende a vedere I propri elettori negli astenuti.
II partito che vince dice che sarebbe potuto crescere dì più, chi resta al palo attribuisce ai crumiri dell’urna il mancato successo, il perdente si considera padre putativo di tutti gli assenteisti.
L’astensione può essere di vario tipo. C’è quella balneare dovuta al disinteresse dei VIP per la politica, pratica di intermediazione tra omuncoli non esseri superiori.
Infine c’è l’astensione critica che è pur sempre un modo personale di esercitare ì propri diritti politici.
Quest’ultimo aspetto merita forse qualche altra riga di riflessione.
Intanto non è più possibile parlare dell’astensionismo come di fenomeno solo qualunquistico come si faceva dall’immediato dopoguerra fino sul finire degli anni cinquanta.
Così come non si può vedere nella scheda bianca l’espressione eversiva della voglia di contropotere come si pensava dal sessantotto in poi.
Forse si sono consumate pure tutte quelle teorie secondo le quali, in epoca di riflusso non votare era un modo di essere moderno di essere in.
Non è vero forse che tutti o quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, si diceva, e del mondo civile, votano meno di noi?
Invece nella prima metà degli anni ottanta si fece poi via via sempre più strada un ragionamento abbastanza insolito. Chi non riusciva ad aumentare il proprio consenso si prefiggeva di raggiungere lo stesso scopo riducendo quello degli altri. Ad essere messi sotto accusa erano i partiti dì massa, quasi che fosse una colpa aver ricevuto molti voti. Lo slogan ricorrente era piccolo è bello. Qualcuno addirittura presentava le proprie liste, ed incitava la gente a non votare per nessuno, se proprio non resisteva, però, poteva scegliere lui. Era tanto disdicevole chiedere voti che il partito di maggioranza relativa, preferì, una volta, l’espressione, dal punto di vista della lingua, non proprio felice: Decidi DC.!
La disaffezione elettorale dì oggi che non tende a ridursi, ma piuttosto, anche se con lentezza, ad aumentare, testimonia di tutte le cose di cui si è detto ma è anche l’espressione di qualcosa d’altro.
Occorre forse dire per prima cosa che riflette sicuramente una tendenza presente in tutte le democrazie occidentali: gli strati sociali più deboli tendono sistematicamente a disertare i seggi. Da questo ne nasce che le nostre democrazie corrono il rischio di essere sempre più l’espressione dei ceti garantiti e privilegiati.
La disubbidienza nasce dalla convinzione che l’esercizio elettivo possa essere un rito inutile. È un convincimento che si fa strada negli orientamenti dei giovani, disinteressati dalla politica. Degli anziani che non riescono a tenere il passo con i mutamenti troppo rapidi dei partiti e della società. Anche, però, negli scontenti, nei disillusi, in coloro che non si sentono minimamente rappresentati in coloro che siedono nei vari banchi del Parlamento.
Tutto questo, però, non spiega per intero quanto sta avvenendo da noi. C’è un tratto aggiuntivo che riguarda l’Italia e che non può essere disconosciuto.
La nostra è sempre stata una democrazia senza qualità.
Si sono avuti pertanto governi senza reali alternative, con un personale politico, addirittura, che riusciva a sopravvivere persino al mutamento delle effimere formule politiche che si praticavano, sempre più identico a se stesso.
In questo clima è già tanto che il sistema democratico abbia tenuto, che non si sia trasformato, cioè, naturalmente in regime. Il pericolo, però, è sempre presente, dietro l’angolo.
Per questa ragione, le riforme istituzionali, che non possono essere considerate la panacea di tutti i mali d’Italia, non sono ormai più dilazionabili pena la mutazione genetica del nostro sistema democratico. Non è democratico, infatti, un sistema in cui col voto si può solo rafforzare o indebolire questo o quel partito di governo, ma non mandare all’opposizione l’intera coalizione ed avere quindi una nuova maggioranza.
Il non voto di oggi dice tutte queste cose ma è anche un messaggio ed un grido di allarme; non tutto può essere tradotto in politica, ci sono delle emozioni e dei sentimenti che se non trovano il veicolo giusto nei partiti rimangono inespressi.
Il grido di una madre che cerca il figlio rapito nelle montagne d’Aspromonte.
Il bisogno di più pulizia nelle città del sud e di più acqua. La voglia di giustizia di chi paga le tasse e assiste al fenomeno dell’evasione fiscale sempre crescente.
L’astensione è però anche il sintomo preoccupante della non speranza come l’estendersi della droga e l’abbassamento dell’indice di natalità. È l’espressione, che in Italia, cresce sempre di più il numero di coloro che si rifiutano di scommettere sulla vita e sull’avvenire.
Sono segnali di morte che rafforzano la cultura della morte su quella della vita e della speranza.
Sono sintomi dì una malattia il cui virus non è stato ancora compiutamente isolato, la cui ricerca, però, nessuno può astenersi dal continuare.
Gaetano Briguglio
“Parentesi” anno I n. 3 luglio/agosto 1989