ECONOMIA E FINANZA
Come si preparano i nostri istituti di credito ad affrontare il confronto con le più grandi banche europee? Riusciranno i grandi sportelli siciliani a mantenere l’attuale posizione dominante nel settore del credito in Sicilia? Analizziamo il problema con Rocco Robberto, condirettore centrale del Banco di Sicilia
di Filippo Briguglio
Anno 1992: inizia il countdown, il conto alla rovescia, verso l’anno “zero”: l’anno in cui si abbatteranno le frontiere, cadranno le barriere doganali ed il vecchio continente dei libri di storia, nei secoli teatro di guerre e contese per la supremazia delle nazioni, uscirà di scena. La vecchia Europa se ne va: al suo posto, un’unica grande nazione senza più confini. Sembra quasi di andare incontro ad un evento biblico, cui ci si sta preparando in una atmosfera a metà tra l’attesa ansiosa di un esame importante e l’oscuro, confuso timore, presente a dispetto dell’accurata preparazione, di un “day after” di sconosciute dimensioni. Intorno al fatidico 1992 già da tempo si spendono fiumi di parole: il campo cui si presta maggiore attenzione, attraverso analisi volte a prendere iniziative che portino ad un inserimento positivo in campo internazionale, è quello economico. Si parla di grandi mutamenti nel settore industriale, nel settore commerciale, nel settore del credito.
Ma ci saranno davvero questi grossi cambiamenti, ed in cosa consisteranno?
Secondo Rocco Robberto, operatore particolarmente attento ai problemi economici, per la lunga esperienza maturata nel settore in un istituto di credito che è una delle più importanti cinghie di trasmissione dell’economia siciliana:
«Il settore industriale ci trova in linea con gli altri paesi e in campo internazionale non temiamo confronti. Il settore commerciale, invece, ci vede impreparati, perché soprattutto noi meridionali non abbiamo attuato una giusta e buona politica. Non c’è stato, infatti, impegno politico adeguato a sostenere la nostra economia attraverso un’attenta programmazione globale (produzione, trasporti, costi), mirata a conquistare precise fette di mercato europeo. La nostra politica commerciale verso l’estero non è adeguata, perché non si sono individuati i prodotti giusti da inserire sul mercato internazionale, non essendo stata operata una accurata scelta delle “zone di vocazione”, cioè di quelle zone che per il clima e la qualità del terreno possono fornire prodotti selezionati; al contrario, è stata lasciata agli agricoltori praticamente carta bianca: sicché ognuno produce alla meglio e tenta di piazzare sul mercato quello ha ottenuto. Un’economia così disarticolata, così priva di organizzazione ha impedito ai nostri prodotti, pur di qualità certamente non inferiore a quelli di altri paesi, di trovare acquirenti, ragion per cui la nostra fascia d’inserimento nel settore è soltanto di un 10%, che tende a diminuire. Diverso è il discorso nel settore del credito. Qui, infatti, la sfida competitiva, senz’altro più agguerrita che altrove, si basa sul dinamismo, sulla tecnologia, sulla professionalità».
È opinione diffusa e comune che la banca stia cambiando. Perché?
«Perché cambiano le esigenze. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a uno spettacolare aumento del livello di vita. Una volta la banca era privilegio esclusivo dell’operatore economico, oggi in banca entrano tutti: dall’artigiano alla casalinga, all’impiegato. Questa diversa distribuzione del reddito ha portato con sé un aumento di utenti dei servizi bancari e, di conseguenza, una diversificazione di questi ultimi. Ma la banca non cambia solo per questo. Oggi essa cambia perché è mutata la sua conformazione: i suoi utili, infatti, non derivano più tanto dal risultato dell’equazione “raccolta/impieghi” (oggi, infatti, la banca raccoglie pochissimo), quanto dal vendere servizi».
Nell’imminente avvento di questo “New Deal” le aziende di credito devono prepararsi all’impatto, che vuol dire affacciarsi1 in un mercato in cui le banche della comunità si confronteranno sul piano dei servizi, dei prezzi e delle garanzie. Come si stanno preparando le banche siciliane a tale confronto?
«Nel considerare la discesa in campo, ormai prossima, delle grandi banche europee, bisogna fare una premessa, operando una distinzione tra grandissime banche, quali sono molte di quelle della Comunità, e banche di medie dimensioni, quali quelle operanti in Sicilia. Mentre, infatti, per le prime, caratterizzate dall’impiego di avanzatissime tecnologie, il cliente finisce con l’essere un’unità impersonale, un numero di conto, per le seconde il cliente continuerà a essere oggetto di un rapporto umano e personale, nonostante l’introduzione di innovazioni telematiche nella gestione delle procedure per adeguarsi ai ritmi richiesti dal mercato. Infatti, pur rinnovandoci, cerchiamo tuttavia di non puntare molto, o di non puntare tutto, sulla tecnologia, perché essa potrebbe arrivare a distruggere la banca, condizionandone la struttura. Perché? Mentre nel settore industriale la tecnologia ha primaria importanza per la riduzione dei costi, nel settore bancario le esigenze sono diverse. Il cliente non si accontenta di dialogare con la macchina, sente il bisogno del rapporto umano. Le macchine possono agevolare nel disbrigo dei servizi, ma le carte vincenti restano essenzialmente il dinamismo e la professionalità. Ecco perché le banche devono preparare adeguatamente il personale a vendere i propri prodotti, a dialogare con la clientela. Premesso tutto questo, bisogna poi distinguere tra quello che succederà al Nord e quello che succederà al Sud, poiché non si verificheranno le stesse cose».
Quali strategie, dunque, mettere in atto per affrontare il 1992?
«Mentre le grandi banche europee punteranno essenzialmente sulla telematica e sulla celerità dei servizi, le banche di medie dimensioni, soprattutto da noi, dovranno puntare principalmente su una comunicazione interpersonale affidata ad elementi altamente specializzati. Mentre infatti nel Nord, data la struttura industriale dell’economia, può anche andar bene che il cliente sia un’unità impersonale, purché i servizi siano celeri ed efficienti, sicché la banca quanto più possibile modernamente meccanizzata troverà terreno fertile e le banche europee faranno la parte del leone, al Sud, invece, le cose andranno diversamente. L’onda del 1992 sicuramente arriverà anche da noi, ma non subito. Questo ci concederà un margine di tempo per prepararci anche attraverso l’osservazione del fenomeno che si starà già diffondendo altrove. Poiché, infatti, è ancora fortemente radicata qui da noi l’esigenza del dialogo con una persona esperta, è meglio, per il momento, non strafare con la telematica, vale a dire voler compiere ogni sforzo per sostituire completamente l’uomo con la macchina, perché faremmo male e creeremmo confusione. Preparare professionalmente il personale resta la politica più importante».
Le banche, quindi, dovranno impegnarsi non solo sul piano operativo, ma ancor più in termini culturali. In un mercato che sarà improntato alla libertà di insediamento e di prestazione dei servizi, esse si troveranno ad operare solo sulla base della concorrenza, senza più leggi protezionistiche o quote di mercato assicurate. In questo cambiamento nel rapporto tra banca e cittadino si avverte, pertanto, l’esigenza di una nuova impostazione di quello che è il mercato del denaro? Poiché non si raccoglie più molto, tant’è che ci si deve rivolgere al mercato secondario per acquistare il denaro e rivenderlo, si comincia a guardare alla privatizzazione nella prospettiva di una forma di strategia futura? Come si preparano in tal senso gli istituti di credito in Sicilia? Per quanto riguarda la diversificazione degli sportelli bancari, invece, già da qualche anno assistiamo in Sicilia alla loro proliferazione in un numero superiore alle esigenze. Adesso che il mercato non avrà più barriere e, anche se ci vorrà del tempo, prima o poi arriveranno pure da noi le banche europee con le loro politiche, come riusciranno le banche siciliane a reggere il confronto e mantenere la posizione acquisita nel settore? Quali i programmi per restare sul mercato?
«Anche in banca vige la legge della domanda e dell’offerta. Nel momento in cui non vi sarà più monopolio nel settore del credito siciliano, e di questo beneficeranno soprattutto gli utenti, un regime di concorrenza di prezzi e di tassi metterà fuori mercato le piccole banche che raccolgono a costi alti e vendono a prezzi altissimi. Per sopravvivere, esse finiranno col consorziarsi; e già fin d’ora assistiamo all’assorbimento di alcune di esse da parte di istituti di maggiori dimensioni. Il vero pericolo, però, è un altro: quello, cioè, che le banche europee possano arrivare in Sicilia col preciso intento di rastrellare denaro da collocare altrove. Per ora, infatti, la nostra isola rappresenta per le banche un promettente granaio di raccolta: il risparmiatore, infatti, è qui da noi. Per evitare una fuga del nostro denaro dallo Stretto, la qual cosa penalizzerebbe la nostra economia, dovremo rivedere i tassi fiscali. È noto, infatti, che in questo periodo il denaro rende poco, considerata la trattenuta del 30% a favore dello Stato. Quando arriveranno le banche europee, il risparmiatore troverà più conveniente gestire il proprio risparmio tramite aziende che meglio remunereranno il denaro. Sarà allora necessario rivedere la politica fiscale e prendere idonei provvedimenti al momento opportuno».
Ma, in fin dei conti, questo 1992 è davvero uno spauracchio per le banche? O sembra tale solo per un perverso gioco di meccanismi dialettici?
«Lo spauracchio è stato prospettato dalla Banca d’Italia, che da anni martella sull’argomento, dà indicazioni, costringe le banche a migliorare le proprie tecnologie, a rinnovare le proprie strutture. E ha agito, in tal senso, senz’altro bene. Ma ha esortato a cambiare anche mentalità: non è più tempo di sprechi o di leggerezze nella gestione delle risorse. Soltanto quelle banche che non sono preparate o non vogliono prepararsi resteranno al palo e non avranno futuro»
Filippo Briguglio
“Parentesi”Anno I n.1-aprile 1989
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