I messinesi sempre più assenti nel dibattito sui problemi cittadini
di Bruno Villari
Nelle democrazie rappresentative i cittadini eleggono i loro rappresentanti e ad essi delegano la gestione delle faccende collettive.
Questa regola ha però mostrato dei limiti e un poco per volta ci si è orientati verso un sistema più aperto le cui
regole si stanno consolidando sul terreno dell’esperienza quotidiana. Vediamo infatti sempre più spesso amministratori, specialmente locati, rivolgersi ai cittadini per chiedere il loro parere attraverso vari canali attraverso cui viene puntualizzato il grado del consenso che raccoglie questa o quella iniziativa.
Questo sistema presuppone comunque un livello di disponibilità reciproca che non sempre si realizza felicemente. È il caso detta nostra città dove la tendenza del «palazzo» a giocare la partita dentro le mura si equivale al disinteresse dei cittadini per ciò che fanno i suoi rappresentanti nell’esercizio del potere delegato.
Quest’ultimo è un dato inquietante che ho lasciato riflettete molti osservatori. Si e sostenuto con qualche ragione che il terremoto del 1908 ha frantumato, insieme alla cultura post risorgimentale, gli anelli che assicurano i legami generazionali. Altri presumono essere stato il fascismo che, nel far piazza pulita delle forti sopravvivenze liberal massoniche, ha tagliato molto in basso, fino alle radici, facendola come Alfonso d’Este alla battaglia di Ravenna quando, avvertito che le sue artiglierie colpivano anche gli alleati francesi, disse agli artiglieri: «Traete pur …dovunque, perché son tutti nemici».
Ce in fine chi pensa al secondo dopoguerra, e soprattutto a quegli intellettuali che avevano trascorsi fascisti, ansiosi di rifarsi una «verginità» con d nuovo ordine e che perciò hanno menato sul passato a occhi chiusi.
Si tratta anche qui, come si può immaginare, di una vexata quaestiofra le tante che alimentano certi annosi dibattiti delle comunità e che sono destinate a non risolversi mai.
Un fatto e però certo, a Messina, più che altrove, le scelte che riguardano beni e servizi collettivi sono sovente fatte senza che vi sia un minimo di dibattilo e non sempre per indisponibilità di chi detiene il potere decisionale. In motti casi infatti sono i cittadini e le strutture associative da essi costituite, a tirarsi indietro, lasciando all’arbitrio di amministratori e funzionari pubblici ciò che viceversa sarebbe opportuno fosse deciso tenendo conto della loro volontà collettiva.
E qui si traila di vedere quando è opportuno promuovere il dibattito e, prima ancora, a chi spetta di promuoverlo. Secondo le regole della democrazia aperta il diritto-dovere dell’iniziativa spetta a l’amministratore ma non necessariamente. Più certo è il quando che in ogni caso non deve intervenire a cose fatte.
Se volgiamo l’attenzione ad alcune delle più importanti opere realizzate, restaurate o lasciale alla rovina, in questi ultimi anni (il teatro Vittorio Emanuele, la villa Dante, la Cittadella, il forte Gonzaga e il forte del San Salvatore, per citare soltanto a caso), possiamo ricavare il profilo del rapporto fra potere decisionale e base cittadina. Il teatro, ad esempio, è stato «Svuotato» con una decisione non molto sofferta dell’amministrazione pro tempore che ha escluso a priori qualunque possibilità di confronto nascondendosi dietro un’autorevole giudizio tecnico che aveva scartato la possibilità di restauro. Anche la decisione sulla villa Dante è stata presa al vertice ed in entrambi i casi i cittadini hanno brontolalo molto senza poi dare alcuna consistenza civile alla disapprovazione. Per non parlare della progressiva e incredibile distruzione della Cittadella, una della più pregevoli opere architettoniche militari del Seicento, condotta con inesorabile insensibilità sotto gli occhi di una cittadinanza che disapprova ma che nella sostanza è incapace di esprimere un vero movimento di condanna.
Perfino sul colore del forte del SS. Salvatore, del quale è stato dato conto a posteriori, quando oramai il dibattito non poteva dare luogo a ravvedimenti (ammesso che ve ne fossero stati), non si sono registrati dissensi o assensi vibrati malgrado i diffusi mugugni.
Malgrado tutto ciò si resta fiduciosi che qualcosa cambierà.
Bruno Villari
“Parentesi” anno I n.1 marzo/aprile 1989