1908 – 1988 Il Terremoto di Messina: 80 anni dopo
Quali sono state le caratteristiche salienti1 del sisma del 1908? Ad ottant’anni di distanza, cosa è cambiato nelle condizioni sismo-tettoniche e nelle conoscenze geofisiche dell’area dello Stretto? Quali meccanismi scatenano un terremoto? Cosa si intende per riduzione del rischio sismico? Come è organizzata oggi Messina in materia di prevenzione sismica? Di quali attrezzature dispone l’Istituto di Geofisica?
A colloquio con il Prof. Antonio Bottari, direttore dell’Istituto di Sismologia dell’Università di Messina.
di Filippo Briguglio
Non è sfuggita ad alcuno la rilevanza che assume, nell’immaginario collettivo, l’80° anniversario del terremoto di Messina; tale da rivestire quasi il carattere della celebrazione.
L’articolato convegno di studi, organizzato a livello internazionale dall’Amministrazione comunale, dall’Amministrazione provinciale e dalla Facoltà di Scienze Politiche, che in un lungo arco di tempo (novembre 1988 – gennaio 1989) ha visto impegnati in un calendario di manifestazioni numerosi esponenti del mondo culturale e scientifico cittadino, nazionale e d’oltre confine non ha, infatti, soltanto il tono della rievocazione commemorativa di quel tristissimo evento. L’incontro è stato percepito come testimonianza della volontà di non dimenticare e di richiamare alla memoria, soprattutto dei giovani, quel catastrofico evento che stravolse la connotazione dell’intera città, seminando improvvisamente lutti e disperazione e danneggiando irreparabilmente il patrimonio urbano ed artistico di Messina. Anche noi abbiamo voluto dare il nostro contributo alla ricorrenza storica ed abbiamo rivolto alcune domande al prof. Antonino Bottari, direttore dell’Istituto di Sismologia dell’ateneo messinese.
Quali sono state le caratteristiche salienti del sisma del 1908?
Non è facile rispondere senza l’ausilio di un supporto grafico. Gli elementi che possiamo fornire verbalmente sono essenzialmente quelli che riguardano l’intensità. L’entità dei danni di questo terremoto, praticamente, non ha eguali in tutta la storia sismica del nostro paese, sia per numero di vittime, sia proprio – come diciamo noi in termini macrosismici – per il grado dei danni che si sono verificati nei due abitati principali di Messina e Reggio Calabria. Questo il dato saliente. Poi di rilevante importanza è stato il fatto che al terremoto è seguito il maremoto. Come è avvenuto ciò? Stando alla nostra conoscenza dei fenomeni di maremoto che si sono verificati nei secoli scorsi, anche se per fortuna con cadenza molto inferiore a quella dei fenomeni sismici, si sa qualcosa sul maremoto ma spesso non si sa quasi niente sul terremoto che lo ha originato.
Nel 1908 vi è stata una sorta di collegamento tra i due eventi? Oppure si è trattato di coincidenza?
Indubbiamente c’è stata una correlazione tra il meccanismo del sisma del 1908 ed il maremoto: cioè una comune origine ed una interazione dinamica che ha determinato, anche per la particolare conformazione dell’area dello Stretto, l’onda di maremoto. In questo caso la correlazione è abbastanza precisa, documentata e soprattutto studiata e, quindi, supportata da un gran numero di analisi che ne consentono l’interpretazione.
Si parla di prevenzione sismica. Allo stesso modo, esistono strumenti di prevenzione dei maremoti?
Per fortuna la probabilità che si verifichino maremoti qui da noi è abbastanza piccola. In effetti, negli ultimi quattro o cinque secoli, i maremoti di una certa importanza nell’area del Tirreno sono stati una decina. Rispetto quindi alla cadenza con cui, invece, si verificano i terremoti, si tratta di fenomeni i cui rischi sono da considerarsi assai inferiori in termini statistici. Tuttavia si dovrebbero adottare piani edilizi che prevedano sui litorali una fascia di rispetto che tenga conto dell’orografia dei luoghi ed all’interno della quale non si dovrebbe edificare né, in linea di principio, consentire attività umane.
Ad ottant’anni di distanza cosa è cambiato nelle condizioni sismo-tettoniche e nelle conoscenze geofisiche dell’area dello Stretto?
Le condizioni sismo-tettoniche non sono cambiate, perché i fenomeni all’origine della sismicità seguono cicli di durata calcolabile in tempi geologici; è quindi impensabile che in 80 anni si possano essere verificate delle modificazioni apprezzabili. Il fatto stesso che abbiamo circa 2500 anni di storia sismica ci dice che, in un arco di tempo di 80 anni, non è ragionevole pensare che si possano avere variazioni significative in quella che è la frequenza con cui il fenomeno può verificarsi.
Dal punto di vista delle conoscenze geofisiche, invece, si sono fatti enormi passi avanti. Basti pensare che 80 anni fa neanche si parlava di meccanismi a fuoco2, cioè di come avviene il fenomeno sismico e qual è il movimento che lo origina all’interno della crosta terrestre. Né si aveva una conoscenza, seppure rudimentale, sulla struttura della crosta nella nostra zona e sui sistemi rocciosi responsabili della fenomenologia stessa. Per quanto riguarda l’evoluzione geologica della regione, 80 anni fa la geologia si rifaceva alla cosiddetta teoria fissista: la crosta è quella che è, e se si muove si muove molto poco. Oggi invece sappiamo che, nel corso delle ere geologiche, parti della crosta sono sovrascorse su altre; addirittura intere regioni si sono spostate anche di centinaia di chilometri. Lo stesso arco calabro-peloritano, che è poi il sistema su cui la sismicità in Italia raggiunge i massimi livelli, in effetti in età antica si trovava a centinaia di chilometri dall’attuale ubicazione. Vi è stato quindi un movimento di deriva che rientra nel quadro geodinamico che ha interessato tutto il Mediterraneo.
La stessa tecnologia della sperimentazione geofisica è ovviamente cambiata in 80 anni, per cui oggi è possibile fare indagini anche sofisticate che allora non erano neanche pensabili.
Quali sono i meccanismi che scatenano un terremoto?
Un terremoto è sempre la conseguenza di un cedimento di alcune parti della crosta o, se si instaura lungo una rottura preesistente, è originato da un brusco scorrimento delle due parti affacciate alla frattura. Noi parliamo di faglie, di giochi di faglie, e questo modello può descrivere quanto è accaduto nello Stretto di Messina: la faglia su cui si è generato il sisma del 1908 in effetti non si è determinata in quel momento, ma aveva già i suoi millenni di vita e, nel 1908, è diventata la sede e l’origine di questo evento catastrofico.
Cosa si intende per riduzione del rischio sismico?
Se oggi si può parlare di riduzione del rischio questo consegue dal fatto che esiste una normativa che vincola la maniera di costruire in determinate aree in base a principi legati alle soglie di rischio che la collettività è disposta ad assumersi. Quando si parla di livelli di copertura del rischio il problema viene posto in termini economici. E poiché è impensabile che si possa azzerare questo rischio, perché i costi sarebbero esorbitanti e quindi al di sopra di ogni bilancio sostenibile, allora si cerca di trovare un compromesso accettabile sul piano umano e su quello dell’ambiente.
A Messina, a Reggio Calabria ed in zone limitrofe esiste una normativa sismica che, imponendo particolari criteri costruttivi, garantisce che terremoti di intensità non superiore ad una certa entità non diano luogo a crolli e, di conseguenza, non provochino vittime.
Quale correlazione esiste tra il miglioramento del livello delle conoscenze geofisiche e la normativa sismica emanata?
La normativa sismica è stata messa a punto su base empirica: attraverso l’individuazione delle aree nelle quali si sono verificati determinati terremoti e la registrazione della loro intensità. Essa non prevede il fatto che ad esempio, nell’ambito di uno stesso comune, si possano avere situazioni geomorfologiche molto diverse per le quali un terremoto possa provocare danni maggiori in una parte dell’abitato rispetto ad un’altra. Mentre invece noi parliamo di una risposta diversa del terreno allo scuotimento e, di conseguenza, di una differente sollecitazione dei fabbricati da un’area all’altra dello stesso centro abitato. Se volessimo applicare questo ragionamento, arriveremmo alla micro zonazione, cioè a stabilire il livello di guardia che s’intende assumere nei confronti dell’evento terremoto in conformità a una conoscenza puntuale non soltanto della sismicità storica ma anche delle caratteristiche strutturali geologiche di una zona e di cosa, in termini di effetti, può verificarsi in essa.
L’importanza della normativa sismica è un fenomeno culturale dei nostri anni? E com’è recepita sul nostro territorio?
Già dopo il 1783 furono introdotti accorgimenti per rinforzare le case, sia quelle danneggiate da eventi precedenti sia le altre, in previsione di terremoti futuri.
Nel 1912 la Regia Commissione aveva fissato criteri di larga massima per limitare i danni da terremoto.
Per questioni storiche, ma anche economiche, queste disposizioni sono state via via disattese, per cui più anni passavano dopo il verificarsi di un terremoto, più il livello di guardia automaticamente si abbassava.
L’Italia è infatti un paese in cui i fenomeni sismici possono verificarsi e fino ad ora, quando ci sono stati, hanno sempre fatto grossi danni. Però forse la frequenza con cui si presentano non è sufficientemente alta perché l’attenzione ad essi si radichi nella società. Non vi è conseguenzialità tra i nostri atteggiamenti, le nostre scelte, le nostre decisioni e quelle che, invece, la storia sismica d’Italia dovrebbe indurci ad adottare. Vi è spesso un salto generazionale tra il manifestarsi di un fenomeno sismico e l’altro e, in ogni caso, la componente economica è sempre fortemente distrattiva.
Come è organizzata oggi Messina riguardo alla prevenzione sismica?
Se si verificasse un terremoto non catastrofico come quello del 1908 ma serio, come ad esempio quello del Friuli, non avremmo i danni che furono registrati in quella regione proprio grazie al famoso ombrello della normativa sismica3. Se volessimo lavorare al miglioramento di questo ombrello, dovremmo operare dei distinguo in ragione delle nostre attuali conoscenze e, anziché ragionare sulla base di un ombrello uguale per tutti – la cosiddetta zonazione – dovremmo probabilmente individuare le aree in cui esso è sovradimensionato. Dovremmo cioè diversificare la normativa in base alla quale, invece, usiamo lo stesso criterio di severità nella costruzione di intere zone abitative.
Questa posizione di taglio strettamente scientifico, tuttavia, sul piano pratico condurrebbe a grosse problematiche. Non sarebbe facile, infatti, emanare un piano regolatore che tenesse conto, oltre che di tutti i parametri obbligatori, anche di quelli inerenti alle singole realtà locali. Sul piano della prevenzione c’è ancora molto da fare perché solo in questi ultimi anni si è cercato con determinazione di sensibilizzare non solo l’opinione pubblica ma soprattutto gli organi preposti alle decisioni. Solo dopo il terremoto del Friuli, infatti, ci si è resi conto della necessità di avere delle strutture di protezione civile per fronteggiare le calamità naturali e del fatto che, pur tenendo conto dei costi, sia preferibile scaglionare la spesa in termini di prevenzione: il che, alla fine, si traduce in un risparmio, oltre a salvare vite umane e il patrimonio storico e culturale di un paese.
Di quali attrezzature dispone oggi l’Istituto di Sismologia?
La risorsa più importate è la rete sismica che si compone di un certo numero di stazioni ubicate all’esterno dell’istituto. In ciascuna di esse c’è un sensore, cioè un rilevatore di onde sismiche, che viene attivato dalle vibrazioni: da quelle normali (mare agitato, depressione atmosferica che interessa tutta la nostra area e dà luogo a tutta una serie di tremori) alle oscillazioni legate al transito delle onde sismiche.
Il segnale elettrico proveniente dal sensore viene opportunamente trattato dal punto di vista elettronico, cioè amplificato, filtrato e trasmesso via radio. L’Istituto dispone di questa attrezzatura da 10 anni, mentre prima Messina aveva una sola stazione, equipaggiata molto bene, all’interno della quale erano alloggiati i sismografi, che adesso possiamo ubicare su tutto il territorio.
In base a quali criteri?
I criteri di dislocazione degli apparati sono diversi. Si cerca di ottimizzare la distribuzione delle stazioni da un punto di vista geometrico, tenendo conto dell’orografia, in modo che la trasmissione e la ricezione dei segnali avvengano senza frapposizioni di ostacoli che ne rallenterebbero la propagazione. Anche la scelta del terreno su cui il sensore viene poggiato è importante: vanno evitate con cura le zone in cui, in un certo raggio di azione, vi siano sorgenti di onde elastiche legate ad attività umane (industria, ferrovia, etc.).
Come è composta questa rete sismica?
Fino a tre anni fa avevamo una rete interna, denominata rete dello Stretto di Messina, composta da cinque stazioni, ed una rete esterna, detta della Sicilia Nord-orientale.
Complessivamente 13 stazioni, che assicuravano un’ottima capacità di rilevamento dell’attività sismica per una vasta zona: dalle Eolie sino a Catania e, in Calabria, sino all’altezza di Tropea. Due anni fa, però, i finanziamenti che prima avevano avuto cadenza annuale subirono il primo intoppo e, alla fine, abbiamo dovuto disattivare le stazioni esterne che, più lontano sono situate, più gravano sui costi di gestione. Abbiamo fatto presente queste difficoltà agli enti regionali e la Provincia, nel marzo di quest’anno, ha deciso di riattivare alcune stazioni del circondario. Aspettiamo la firma della convenzione, speriamo entro l’anno, per potere riattivare tre stazioni sul litorale tirrenico: dalle parti di S. Fratello, Patti e sopra Milazzo. Anche il Comune, un anno fa, aveva dichiarato la massima disponibilità, ma tuttora non abbiamo avuto, in concreto, il supporto richiesto. Lo stesso dicasi per gli interventi regionali.
Quanto incide tutto ciò in termini di prevenzione?
Prevenzione sismica non vuol dire soltanto essere in grado di lanciare l’allarme. È necessario che vi sia una struttura, quale la nostra, perfettamente efficiente, in grado di dare tempestiva informazione perché possano seguire tutti gli interventi red e i provvedimenti in termini di protezione civile necessari in caso di manifestazioni sismiche. Una tale struttura, inoltre, deve essere in grado di osservare e studiare il fenomeno su basi scientifiche.
Nel ’77 il CNR aveva finanziato un programma quinquennale di ricerca sulla rete dello Stretto di Messina. Alla fine di questo periodo è iniziata la fase di instabilità del nostro istituto, non potendo richiedere al CNR, né al ministero, né all’università, che finanziano la ricerca, anche i fondi di cui avrebbero dovuto, invece, farsi carico in modo permanente le strutture locali. Nell’80 era stata varata una legge a termine (biennale) finalizzata allo sviluppo della conoscenza ed alla sorveglianza delle sismicità in Sicilia. Questi provvedimenti di carattere temporaneo non possono risolvere i nostri problemi.
Se, infatti, non vi sarà una legge che garantisca l’automatismo per il finanziamento della gestione dell’ente noi saremo sempre in una situazione precaria che non consentirà di varare un piano di studi e ricerche che abbiano un carattere di continuità e che siano, pertanto, di pubblica utilità.
Filippo Briguglio
Anno I – n.0 -Dicembre/Gennaio 1988/89 (Il fatto di cui si parla) pagg. 19/24
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